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Massaker von Porzûs

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Vorlage:Vaglio Vorlage:Incidente Vorlage:Storia del Friuli

L'eccidio di Porzûs consistette nell'uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di sedici o diciassette partigiani (più una loro ex prigioniera) della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani - in prevalenza gappisti - appartenenti al Partito Comunista Italiano. È uno degli episodi più tragici e controversi della storia della Resistenza italiana, che ha causato varie ondate di polemiche in ordine ai mandanti dell'eccidio e alle sue motivazioni.

Contesto storico

Nella storia della guerra di liberazione, la situazione nelle estreme propaggini nord-orientali dell'allora territorio italiano presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. Abitata in parte da popolazioni slovene - ampiamente maggioritarie in varie zone - comprende al proprio interno anche una regione denominata Slavia veneta (in sloveno Benečija) appartenuta per secoli alla Repubblica di Venezia e incorporata al Regno d'Italia fin dal 1866. In questo contesto geografico operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati ed inseriti all'interno dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (EPLJ), alcune Brigate Garibaldi, fra le quali in particolare quelle inserite nella Divisione Garibaldi Natisone, di osservanza comunista, e le Brigate Osoppo, di varia ispirazione: laica, azionista, liberale, socialista e cattolica. Tutte le terre ad oriente del fiume Isonzo - e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta - vennero reclamate dalla nascente Jugoslavia di Tito fin dalla fine del 1941[1], e dichiarate ufficialmente annesse alla Jugoslavia nel settembre del 1943[2]. Nell'ambito di tali territori, gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari, sottoponendo all'EPLJ qualsiasi altra formazione combattente, nel rispetto di quanto aveva stabilito a seguito di precisa richiesta di Tito il segretario del Komintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942, che aveva sancito per tutta la Venezia Giulia la sottomissione delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS), e di tutte le strutture combattenti in zona al Fronte di Liberazione Sloveno[3]. L'obiettivo dei partigiani jugoslavi fu triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell'Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione - reale o potenziale - a tale disegno e procedere nel contempo ad una rivoluzione sociale di stampo marxista. Lo sloveno Edvard Kardelj - uno dei più importanti collaboratori di Tito - in questo senso fu categorico: in una lettera del 9 settembre 1944 a Vincenzo Bianco - prescelto personalmente da Togliatti come delegato del PCI presso il Fronte di Liberazione Sloveno - scrisse che all'interno delle formazioni partigiane italiane occorreva "fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti". Con riferimento alle zone di operazioni del IX Korpus, così proseguiva: "Non possiamo lasciare su questi territori nemmeno un'unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici"[4], ed auspicò il passaggio dell'intera regione alla nuova Jugoslavia: "Gli italiani saranno incomparabilmente più favoriti nei loro diritti e nelle condizioni di progresso di quel che sarebbero in un'Italia rappresentata da Sforza"[5]. Rispetto alla Osoppo, rilevava che fosse "sotto una forte influenza di diversi ufficiali badogliani e politicamente guidata dai seguaci del Partito d'Azione"[6].

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In questa foto del 1944 s'individuano Alfredo Berzanti "Paolo" (secondo da sinistra)[7], e a seguire verso destra Candido Grassi "Verdi", il colonnello Emilio Grossi del comando unificato Garibaldi-Osoppo[8] e Lino Zocchi "Ninci"

A seguito di una serie di contatti bilaterali, compreso un incontro personale a Bari con Kardelj, Togliatti il 19 ottobre 1944 inviò quindi un'ampia lettera a Bianco, suddivisa in sei punti. Considerando "un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito", al fine non solo di battere tedeschi e fascisti, ma anche di creare nell'area "un regime democratico e progressivo", Togliatti ordinò di conseguenza alla Divisione Garibaldi Natisone di entrare nell'EPLJ[9]. Togliatti scrisse anche di proprio pugno il testo dell'ordine del giorno che i garibaldini avrebbero dovuto adottare: Vorlage:QuotePur senza mai fare esplicitamente il nome delle Brigate Osoppo, Togliatti dispose altresì che: Vorlage:Quote Di conseguenza, dagli ultimi mesi del 1944 la divisione Garibaldi Natisone si sottomise al comando del IX Korpus: ma invece di rimanere a combattere nel territorio nazionale, a fine anno venne trasferita all'interno della Slovenia, ritornando in Italia solo alla fine di maggio del 1945. I comandi della Osoppo invece rifiutarono, affermando di voler fare riferimento sempre ed unicamente alle strutture direttive del Comitato di Liberazione Nazionale italiano. Questa situazione portò a una spaccatura all'interno delle forze partigiane italiane nella regione, che via via assunse sempre più le forme di una radicale disputa ideologico-politica.

Tale disputa aveva conosciuto uno dei suoi momenti di culmine ancora ad agosto del 1944, con la destituzione dei comandi della Osoppo operata dal CLN udinese e dal Comitato Regionale Veneto e dalla loro sostituzione col seguente organigramma: al comando l'azionista Lucio Manzin "Abba", suo vice il comunista Lino Zocchi "Ninci" - già comandante della brigata Garibaldi Friuli - commissario politico il comunista Mario Lizzero "Andrea" - già commissario politico delle brigate Garibaldi Friuli - vicecommissario l'azionista Carlo Commessatti "Spartaco". Le formazioni della Osoppo reagirono con molta decisione, destituendo a loro volta i comandanti designati e rimettendo al loro posto i precedenti: Candido Grassi "Verdi" e il sacerdote Ascanio De Luca "Aurelio"[10].

Le pressioni slovene e garibaldine sugli osovani

Datei:Comando Garibaldi Natisone.png
Slovenia 1945. Il comando della Divisione Garibaldi Natisone assieme ad alcuni ufficiali sovietici. Il primo a sinistra è il commissario politico Giovanni Padoan "Vanni", al centro con la barba il comandante Mario Fantini "Sasso". Entrambi saranno imputati nel processo per l'eccidio

Nella seconda metà del 1944 si moltiplicarono le pressioni slovene sui comandi osovani, contestualmente ad una serie di accuse - sia da parte slovena che garibaldina - di cointeressenze della Osoppo con nazisti e fascisti, con i quali sarebbero stati presi accordi in funzione antipartigiana, di inserimento nelle proprie file di ex fascisti, di protezione di spie, furti di materiale e addirittura di collaborazione nell'omicidio di partigiani garibaldini[11]. A queste accuse, il comando della Osoppo replicò con una lunga serie di relazioni scritte, nelle quali si denunciava il fortissimo contrasto che contrapponeva i propri reparti ai garibaldini e agli sloveni del IX Korpus, una serie di incidenti a scapito degli osovani e le forti pressioni che continuavano ad esser esercitate per il passaggio della Osoppo alle dipendenze dei comandi sloveni, sia da parte di questi ultimi che da parte del comando della Garibaldi Natisone, pressioni accompagnate da varie minacce[12]. Nello stesso periodo diversi esponenti comunisti triestini di sentimenti filoitaliani, che allo stesso modo avevano espresso dubbi sulla futura appartenenza della città alla Jugoslavia, vennero arrestati dai tedeschi, probabilmente in seguito a delazioni[13]. A dicembre gli sloveni fecero pressioni sulla Garibaldi Natisone - senza esito - perché agisse contro il comando osovano di Porzûs[14].

Un membro della missione inglese del SOE (Special Operations Executive) - Michael Trent[15] - che nello stesso periodo aveva deciso di tentare una mediazione con i comandi del IX Korpus, fu ucciso in circostanze non chiare[16].

Il 22 novembre 1944 - quindici giorni dopo l'inglobamento dei garibaldini nel IX Korpus sloveno - ebbe luogo l'ultimo incontro (della durata di cinque ore) fra il Comando della prima divisione Garibaldi Natisone e il comando della prima Brigata Osoppo - presente il comandante osovano Francesco De Gregori "Bolla" - nel corso della quale i garibaldini esercitarono la massima pressione possibile per convincere gli osovani a seguirli nella loro scelta. Giovanni Padoan "Vanni" (commissario politico della brigata Garibaldi Natisone), in particolare dichiarò che tutti i partigiani operanti nell'Italia nord-orientale erano tenuti a porsi alle dipendenze degli jugoslavi, e che secondo una dichiarazione ufficiale del PCI chi non avesse appoggiato gli jugoslavi sarebbe stato da considerarsi nemico del popolo italiano. Aggiunse poi che chi fra Gran Bretagna e Jugoslavia avesse scelto la prima era da considerarsi conservatore e reazionario, ritenuto di conseguenza responsabile di fronte al popolo, e che i garibaldini non avrebbero mai permesso l'instaurazione di un regime democratico filoinglese in queste terre. Dopo queste premesse, si intrattenne sulle vicende confinarie, affermando che l'intera Venezia Giulia era da considerarsi legittimamente appartenente alla Slovenia, le cui forze partigiane avrebbero proceduto in questo territorio alla mobilitazione generale: nel contempo, "Vanni" intimò agli osovani di non procedere ad alcun tipo di mobilitazione o di reclutamento, mettendo in dubbio la legittimità del CLN. Il colloquio ebbe un andamento burrascoso, e si concluse con una rottura completa[17].

Il 1 gennaio 1945, venne organizzato un incontro nella località di Uccea (comune di Resia) fra Romano Zoffo "Livio" - già comandante della II Brigata Osoppo, in quell'epoca impegnato nell'organizzazione della VI Brigata Osoppo e in particolare del Battaglione Resia - e il commissario politico sloveno del Battaglione Rezianska, accompagnato da due ufficiali. In tale occasione, gli sloveni affermarono che: Vorlage:Quote Poco più di un mese dopo, avvenne l'eccidio.

L'eccidio

Datei:Il casolare presso il quale fu catturata la brigata Osoppo da Mario Toffanin.jpg
Alcune delle malghe di Topli Uork
Datei:Mario Toffanin.jpg
Mario Toffanin "Giacca"
Datei:Francesco De Gregori detto Bolla partigiano osoviano e zio del cantautore De Gregori.jpg
Francesco De Gregori "Bolla"

Il 7 febbraio 1945 un gruppo di partigiani comunisti forte di circa cento unità appartenenti ai battaglioni GAP "Ardito" (al comando di Urbino Sfiligoi "Bino"), "Giotto" (al comando di Lorenzo Deotto "Lilly"), "Amor" (al comando di Gustavo Bet "Gastone") e "Tremenda" (al comando di Giorgio Iulita "Jolly")[18] capeggiati da Mario Toffanin "Giacca", raggiunse il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, situato presso alcune malghe in località Topli Uork (in seguito la zona divenne più nota con il toponimo di Porzûs, dal nome della vicina frazione dove viveva il proprietario delle malghe stesse), nel comune di Faedis nel Friuli orientale. L'ordine ai gappisti era pervenuto dal vicesegretario della federazione del PCI di Udine - Alfio Tambosso "Ultra" - il 28 gennaio 1945 in questi termini: Vorlage:Quote Successivamente alcuni gappisti testimonieranno di non aver compreso il motivo della missione fino agli istanti precedenti l'eccidio.

La Brigata Osoppo ospitava Elda Turchetti "Livia", una giovane donna che Radio Londra aveva indicato come spia[19], dopo che alcuni informatori inglesi avevano avuto segnalazioni su una sua presunta amicizia con soldati tedeschi. Secondo alcune ricostruzioni, la Turchetti si era consegnata spontaneamente alla Osoppo per farsi giudicare[20], ma altri affermano che la ragazza - avendo appreso delle accuse che le erano state rivolte - si fosse rivolta al suo conoscente partigiano garibaldino Fortunato Pagnutti "Dinamite", che l'aveva condotta dallo stesso Toffanin, il quale a sua volta l'aveva consegnata al capo della polizia interna della Osoppo - Tullio Bonitti - che alla fine la condusse alle malghe di Topli Uork[21]. Qui, dopo alcuni mesi di custodia, era stata ritenuta innocente in un processo tenutosi il 1º febbraio 1945[22]. Il rifugio dato a Elda Turchetti fu in seguito indicato - nelle varie e spesso contraddittorie ricostruzioni di Toffanin - come casus belli per l'azione dei partigiani garibaldini[23]. Successivamente all'eccidio, Toffanin accusò inoltre la Osoppo di aver osteggiato la politica di collaborazione con i partigiani jugoslavi, di non aver redistribuito agli altri gruppi partigiani delle armi che venivano fornite alla Osoppo dagli angloamericani e di aver collaborato con elementi della Xª Flottiglia MAS e del Reggimento alpini "Tagliamento", appartenenti alla RSI[24].

La ricostruzione dettagliata dello svolgimento dell'operazione gappista è stata fornita nel corso dei processi e poi ripresa in alcune pubblicazioni[25]: la colonna raggiunse l'abitato di Porzûs e poi si divise in gruppi, che raggiunsero le malghe di Topli Uork in momenti diversi. Per superare i posti di guardia osovani senza creare scompiglio, affermarono d'essere partigiani sbandati a seguito di un rastrellamento, e in parte dei civili fuggiti da un treno che li portava in Germania, attaccato dall'aviazione alleata. Un gruppo di garibaldini si spacciò per osovano. Il messaggero del gruppo agli ordini di Toffanin fu lo stesso Pagnutti "Dinamite" che aveva portato Elda Turchetti da Toffanin: un partigiano del quale sia i garibaldini che gli osovani si fidavano, avendo già svolto incarico di staffetta fra i due reparti. Un osovano di guardia venne spedito a Topli Uork ad informare Francesco De Gregori "Bolla"[26] - comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo - che inviò sul luogo il commissario politico del reparto - appartenente al Partito d'Azione - Gastone Valente "Enea". Questi ordinò di separare i presunti osovani dai garibaldini, volendo inviare i secondi al vicino reparto garibaldino di Canebola (una frazione di Faedis). Durante quest'operazione si palesò "Giacca", che fece immediatamente arrestare tutti gli osovani presenti e aspettò l'arrivo di "Bolla" - precedentemente chiamato da Enea - che stava in una baita ad una certa distanza. Al suo arrivo, "Bolla" venne immediatamente arrestato. A questo punto, "Giacca" fece rastrellare la zona, catturando un altro gruppo di osovani in una malga vicina. Nel contempo, un reparto al comando di Vittorio Juri "Marco" si occupò di raccogliere tutto il materiale presente a Topli Uork: in questo frangente un certo Cussig, estraneo alla formazione osovana e alle malghe perché incaricato di portarvi dei viveri, venne rapinato dell'orologio da polso da un garibaldino, venendo però rilasciato dietro assicurazione - data dall'osovano Gaetano Valente "Cassino" - che non si trattava di un partigiano[27].

Francesco De Gregori "Bolla" venne subito ucciso, insieme a Gastone Valente "Enea", al giovane partigiano Giovanni Comin "Gruaro", che si trovava in zona perché voleva arruolarsi nella brigata[28], e a Elda Turchetti. Dalle risultanze processuali, risultò che De Gregori venne ucciso all'arma bianca con lo sfondamento del cranio, probabilmente per evitare il rumore delle armi da fuoco[29]. Aldo Bricco "Centina", futuro comandante designato della formazione e a Topli Uork per il passaggio delle consegne con De Gregori e giunto in vista di "Giacca" e i suoi assieme a quest'ultimo, riuscì rocambolescamente a fuggire: apertosi un varco a forza fra i gappisti, si lanciò di corsa dal costone del monte innevato; ferito da sei colpi di arma da fuoco venne ritenuto morto, ma riuscì a trascinarsi fino al vicino paese di Robedischis, dove si fece medicare da alcuni partigiani sloveni, avendo loro raccontato d'esser stato ferito in uno scontro con i fascisti[30]. Tredici o quattordici altri partigiani furono imprigionati e fucilati nei giorni successivi dopo processi sommari, nelle località limitrofe di Bosco Romagno, Ronchi di Spessa, Restocina e Rocca Bernarda (Prepotto): tra questi Guidalberto (Guido) Pasolini "Ermes", fratello di Pier Paolo. Ne vennero risparmiati due - Leo Patussi "Tin" e Gaetano Valente "Cassino" - che passarono nei GAP. Questi ultimi, assieme al Bricco, furono dopo la guerra fra i principali accusatori di Toffanin e compagni nei vari processi che si svolsero fra Udine, Venezia, Brescia, Lucca e Firenze.

Altri tre osovani - Antonio Turlon "Make" (in altre fonti "Macche" o "Macché"), Annunziato Rizzo "Rinato" e Mario Gaudino "Vandalo" - erano invece stati fatti prigionieri il 16 gennaio 1945 da una pattuglia del IX Korpus sloveno in località Platischis (comune di Taipana, provincia di Udine), e fucilati successivamente (forse ad aprile del 1945) nella località di Spessa nel comune di Cividale: il nome di battaglia di tutti e tre appare nella lapide in memoria dei trucidati murata a Topli Uork, mentre il nome dei soli Turlon e Rizzo appare nel cippo "Ai Martiri della Osoppo" di Bosco Romagno (Cividale)[31]. Secondo alcune ricostruzioni, un partigiano sfuggito all'eccidio sarebbe stato Erasmo Sparacino "Flavio", catturato però in seguito dai tedeschi e fucilato a Cividale il 12 febbraio 1945: il suo nome appare comunque in entrambi i memoriali di cui sopra.

Le vittime

Si riporta l'elenco completo degli osovani trucidati dai partigiani di Mario Toffanin "Giacca", comprendendo fra questi anche Elda Turchetti, Erasmo Sparacino - probabilmente sfuggito all'eccidio - ed Egidio Vazzas, il cui corpo non fu mai ritrovato[32].

Nome Cognome Nome di guerra Luogo dell'uccisione Data dell'uccisione Note biografiche
Angelo Augello Massimo Rocca Bernarda 9 febbraio 1945 Nato a Canicattì (AG) il 22 luglio 1923. Effettivo del Gruppo Est Brigate Osoppo Friuli - I Brigata. Il suo corpo è tumulato a Udine.
Antonio Cammarata Toni Bosco Romagno 18 febbraio 1945 Nato a Petraglia (PA) il 23 dicembre 1923. Effettivo del Comando Gruppo Brigate Osoppo Friuli Est - I Brigata Reparto Comando. Tumulato prima a Cividale, poi a Udine.
Franco Celledoni Ateone (Atteone) Rocca Bernarda 12 febbraio 1945 Nato a Faedis il 14 dicembre 1918. Effettivo della II Divisione Osoppo Friuli. Ufficiale medico, fu catturato dai gappisti mentre si recava al comando della Osoppo per sostituire il medico del distaccamento. Tumulato a Faedis.
Giovanni Comin Gruaro Malghe di Topli Uork 7 febbraio 1945 Nato a Bagnara di Gruaro (VE) nel 1926. operaio. Probabilmente comunista[33], secondo alcuni era in zona per arruolarsi fra i partigiani, mentre per altri era effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - Comando Gruppo Brigata Est - I Brigata - Battaglione Val Torre. Tumulato a Bagnara di Gruaro.
Francesco De Gregori Bolla Malghe di Topli Uork 7 febbraio 1945 Nato a Roma il 10 giugno 1910. Capitano degli alpini. Comandante del Gruppo Brigate Osoppo dell'Est. Tumulato a Udine.
Enzo D'Orlandi Roberto Bosco Musich - Restocina 12 febbraio 1945 Nato a Cividale del Friuli il 3 febbraio 1923. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Julio. Tumulato a Cividale del Friuli.
Pasquale Mazzeo Cariddi Bosco Romagno 18 febbraio 1945 Nato a Messina il 9 maggio 1914. Già brigadiere della Guardia di Finanza prima di entrare nella Osoppo. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Udine.
Gualtiero Michelon Porthos Bosco Musich - Restocina Fra l'8 e il 18 febbraio 1945 Nato a Portogruaro (VE) il 17 luglio 1920. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Portogruaro.
Guido Pasolini Ermes Bosco Romagno 12 febbraio 1945 Nato a Bologna il 4 ottobre 1925. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - VI Brigata - Vice delegato Polizia di Brigata. Tumulato a Casarsa della Delizia (PN).
Antonio Previti Guidone Bosco Romagno 18 febbraio 1945 Nato a Messina il 13 gennaio 1919. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Carabiniere a Zara prima di entrare nella Osoppo. Tumulato a Udine.
Salvatore Saba Cagliari Bosco Romagno o Restocina 9 febbraio 1945 Nato a Sardiana (CA) il 22 luglio 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Tumulato a Udine.
Giuseppe Sfregola Barletta Ronchi di Spessa 7 o 8 febbraio 1945 Nato a Barletta il 31 ottobre 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Ucciso prima che iniziassero gli interrogatori, prima di entrare nella Osoppo era brigadiere dei Carabinieri. Tumulato a Barletta.
Erasmo Sparacino Flavio Bosco Musich - Restocina Fra l'8 e il 18 febbraio 1945 Nato a Santa Flavia (PA). Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Secondo alcune ricostruzioni sarebbe sfuggito all'agguato a Topli Uork, poi catturato dai tedeschi e fucilato a Cividale il 12 febbraio 1945. Prima di entrare nella Osoppo, fu carabiniere in Dalmazia. Tumulato a Udine.
Primo Targato Rapido Bosco Romagno 10 febbraio 1945 Nato a Piombino Dese (PD) il 1 luglio 1923, residente a Novate Milanese. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Reparto Comando. Tumulato a Udine, il suo corpo in seguito venne traslato a Milano.
Elda Turchetti Livia Malghe di Topli Uork 7 febbraio 1945 Nata a Povoletto (UD) il 21 dicembre 1923. Cotoniera. Ex prigioniera della Osoppo. Tumulata a Savorgnano al Torre (UD).
Giuseppe Urso Aragona Bosco Musich - Restocina 10 febbraio 1945 Nato ad Aragona (AG) il 1º giugno 1923. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Tumulato a Udine, traslato poi a Canicattì(AG).
Gastone Valente Enea Malghe di Topli Uork 7 febbraio 1945 Nato a Udine il 30 ottobre 1913. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli, commissario politico del Partito d'Azione. Tumulato a Udine.
Egidio Vazzas Ado Località ignota 7 febbraio 1945 ? Nato a Taipana (UD) il 10 settembre 1919. Muratore. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli - I Brigata - Battaglione Zanon. Il suo corpo non venne mai recuperato. Si presume che sia stato ucciso nelle vicinanze delle malghe di Topli Uork.

Le prime notizie dell'eccidio e le reazioni

Nei primi giorni dopo la strage - scoperta da alcuni contadini del luogo il giorno successivo all'incursione alle malghe - le notizie si accavallarono confuse: la direzione della federazione del PCI di Udine fece circolare la voce secondo la quale l'eccidio fosse opera di forze tedesche o fasciste[34]. Qualche giorno dopo l'eccidio, la "Gioventù antifascista italiana e slovena" - un'organizzazione politica che propugnava l'annessione della zona alla Jugoslavia - organizzò a Circhina una conferenza cui parteciparono alcuni garibaldini della Natisone, nel corso della quale venne annunciata la soppressione del comando osovano senza peraltro specificare chi fosse stato l'esecutore dell'azione: ci furono applausi e grida di entusiasmo, giacché fra i garibaldini era opinione diffusa che gli osovani fossero dei reazionari in combutta con i fascisti[35].

La relazione di Toffanin, Plaino e Juri

Il 10 febbraio Mario Toffanin e i suoi sottoposti, Aldo Plaino "Valerio" e Vittorio Juri "Marco", stilarono una relazione indirizzata alla federazione comunista di Udine e al comando del IX Korpus Sloveno, in cui sostenevano che l'esecuzione aveva avuto "pieno consenso della Federazione del partito", accusando i partigiani della Osoppo di essere dei traditori venduti a fascisti e tedeschi, i cui comandanti in punto di morte avrebbero inneggiato al fascismo. I tre comandanti gappisti scrissero degli osovani che "esaminati attentamente uno a uno, abbiamo notato che essi non erano altro che figli di papà, delicati attendisti che se la passavano comodamente in montagna"[36][37].

Le inchieste partigiane

Datei:Mario Lizzero.jpg
Mario Lizzero "Andrea"

Lo stesso giorno in cui Toffanin inviò la sua relazione, il comando della Osoppo affidò l'incarico di compiere una prima indagine ad Agostino Benetti[38], che in pochi giorni appuntò i propri sospetti sui garibaldini. Informati i superiori, questi interessarono il CLN provinciale, che in una riunione del 21 febbraio - in assenza del rappresentante comunista - incaricò un rappresentante del Partito d'Azione e un rappresentante della Democrazia Cristiana di svolgere ulteriori accertamenti. Fu avvisato il Comitato Regionale Veneto (CRV), il quale avocò a sé l'inchiesta: il 5 marzo successivo il CLN provinciale sospese quindi la propria indagine. Il CRV istituì una nuova commissione, formata da un rappresentante del Partito d'Azione (Luciano Commessatti "Gigi"), uno della DC e un terzo del PCI. Il 12 marzo Commessatti s'incontrò con i garibaldini Ostelio Modesti "Franco" - segretario della federazione del PCI di Udine - e Alfio Tambosso "Ultra" - vicesegretario: quest'ultimo affermò che l'azione delle malghe di Topli Uork era stata "un colpo di testa di Giacca"[39]. Organizzato un successivo incontro con i capi garibaldini aperto anche ai comandanti osovani, Commessatti si poté incontrare solo con i primi, giacché i dirigenti osovani erano stati tutti arrestati dai tedeschi nel corso di una riunione indetta per organizzare l'incontro con i garibaldini. A seguito di quell'arresto di massa, i partigiani sloveni diffusero un volantino nella bassa friulana, nel quale scrissero cheVorlage:QuoteL'incontro fra la commissione e i capi garibaldini Lino Zocchi "Ninci" (comandante del gruppo Divisioni Garibaldi del Friuli), Mario Lizzero "Andrea" (commissario politico delle brigate Garibaldi in Friuli), Modesti e Valerio Stella "Ferruccio" (comandante della Brigata Garibaldi Friuli) si svolse in un clima molto teso. La tesi che venne nuovamente formulata dai garibaldini a Commessatti fu quella del colpo di testa di "Giacca", ma i capi comunisti impedirono alla commissione di interrogare Toffanin, rassicurando che avrebbero provveduto loro alla "giusta punizione"[40]. La commissione si trovò quindi ad un punto morto: mancando la relazione ufficiale della Osoppo a causa dell'arresto dei suoi capi, i garibaldini si rifiutarono di mettere per iscritto le loro informazioni, e a questo punto l'unico documento in mano ai commissari fu una relazione degli osovani Alfredo Berzanti "Paolo" (già commissario politico delle Brigate Osoppo dell'Est, all'epoca vicecommissario del Gruppo Divisioni Osoppo Friuli, in seguito diventerà deputato democristiano) ed Eusebio Palumbo "Olmo", ma il membro comunista della commissione si rifiutò di accettarla perché "di parte"[41]. Il 31 marzo il CLN invitò i comandi osovani e garibaldini a nominare un'altra commissione paritetica d'inchiesta, nella speranza non solo di chiarire l'episodio di Topli Uork, ma anche di conoscere la sorte - ancora ignota - degli altri osovani portati via da "Giacca" e dai suoi. Il 3 aprile si ritrovarono per la Osoppo Candido Grassi "Verdi" e Giovanni Battista Carron "Vico" assieme a Ostelio Modesti per i garibaldini, che cambiò radicalmente la versione precedentemente sostenuta da Tambosso, affermando che l'attacco alle malghe era stata opera di fascisti camuffati da partigiani, così com'era stato annunciato dalla radio - che però aveva in quei giorni fatto riferimento ad un episodio avvenuto nella zona del Collio, distante da Porzûs[42]. In rapida successione, Modesti passò all'attacco, accusando gli osovani di non essersi adoperati con le popolazioni friulane per propagandare la figura di Tito, del quale si aspettava l'entrata da liberatore a Udine[43]. Alla fine, si decise di nominare l'ennesima commissione formata da un osovano, un garibaldino e un rappresentante del CLN come presidente. Per questi incarichi vennero designati rispettivamente Alfredo Berzanti "Paolo", Valeriano Rossitti "Pietro" e il liberale Manlio Gardi "Bruto". Per vari motivi - però - quest'ultima commissione non s'insediò mai, e mentre gli osovani chiesero a varie riprese di andare a fondo della questione, i garibaldini misero in campo una serie di atteggiamenti dilatori. La successiva insurrezione di aprile/maggio 1945 fece passare in secondo piano l'indagine.

In tutto questo periodo, all'interno delle forze partigiane comuniste s'era sviluppata però una reazione all'azione di Toffanin e dei suoi. Mario Lizzero, venuto a sapere dell'eccidio, propose la condanna a morte per Toffanin e i suoi uomini, ma questi in un primo tempo non ricevettero alcuna sanzione, venendo destituiti dalle loro posizioni di comando nei GAP ad aprile del 1945, oltre due mesi dopo l'attacco[44]. Secondo la ricostruzione di Giovanni Padoan "Vanni", Lizzero sarebbe stato invece il grande artefice della strategia difensiva del partito comunista, tendente a colpevolizzare il solo Toffanin per impedire che si arrivassero a scoprire i veri mandanti dell'eccidio, e cioè il IX Korpus sloveno che aveva ordinato l'operazione alla federazione del PCI di Udine: fatto arrestare Toffanin il 20 febbraio 1945 e condannatolo alla fucilazione, Lizzero a seguito di un incontro a quattr'occhi inaspettatamente lo liberò, rifiutandosi poi di rivelare il contenuto del loro colloquio. Contestualmente, secondo Padoan Lizzero sviò le indagini subito ordinate dal Comitato Regionale Veneto, impedendo a Luciano Commessatti "Gigi" di interrogare Toffanin, tanto che - ritornato a Padova - Commessatti denunciò la non collaborazione di Lizzero e di Lino Zocchi "Ninci"[45]. I dirigenti della federazione del PCI di Udine Modesti e Tambosso, sia all'epoca che successivamente sosterranno che la responsabilità dell'azione fosse da imputarsi interamente a Toffanin, che non avrebbe interpretato correttamente gli ordini.

I processi

I primi a denunciare data e dinamica dell'eccidio furono subito dopo la liberazione gli ex comandanti osovani Candido Grassi "Verdi" (all'epoca socialista, in seguito deputato del PSDI) e Alfredo Berzanti "Paolo". Questi accusarono i garibaldini di aver ucciso i propri compagni di lotta "sol perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava"[46]. Il 23 giugno 1945 - dopo la scoperta dei corpi dei trucidati di Bosco Romagno, ad opera dei parenti[47] - Grassi e Berzanti presentarono una denuncia al Procuratore del Regno di Udine, a nome del Comando del Gruppo Divisioni "Osoppo Friuli"[48]. Nei giorni precedenti, i due avevano ripetutamente chiesto a Zocchi e Lizzero di associarsi nella denuncia, ottenendone però sempre un rifiuto[49]. Passando i mesi senza novità alcuna ed esasperati per l'attesa, i partigiani della Osoppo pubblicarono nel 1947 un numero unico stampato a Udine, riproducendo tutti i documenti accusatori "contro tutte le omertà che vietano il libero corso della giustizia"[50].

La Stampa e l'Unità sulla sentenza di primo grado:
la prima rileva le pesanti condanne, il quotidiano comunista
mette invece in evidenza l'assoluzione dal reato di tradimento,
affermando che "i garibaldini della Natisone escono a testa alta dall'aula"

Il processo di primo grado

Il processo venne in un primo tempo istruito dalla procura di Udine, che però dopo poco inviò l'incartamento al tribunale militare di Verona. Da questo le carte passarono a Venezia, che concludeva la propria istruttoria penale con sentenza 13 dicembre 1948, che rinviava a giudizio quarantacinque imputati davanti alla corte d'assise di Udine per rispondere dei delitti di omicidio aggravato continuato e saccheggio[51]. Per legittima suspicione, la Corte di Cassazione trasferì il procedimento a Brescia, dove il 9 gennaio 1950 iniziò il dibattimento[52]. Il 20 gennaio la corte d'Assise di Brescia con sua ordinanza rinviò la causa a nuovo ruolo, per consentire al pubblico ministero di contestare altri reati agli imputati. Il 2 maggio 1950 la madre dell'osovano Franco Celledoni "Atteone" - ucciso nell'eccidio - denunciò al procuratore della Repubblica di Udine Alfio Tambosso "Ultra", Valerio Stella "Ferruccio", Giovanni Padoan "Vanni" quali presunti mandanti della strage, nonché Enzo Iurich "Ape" quale autore dell'uccisione di Angelo Augelli "Massimo". L'istruttoria determinata da questa denuncia venne unificata con la precedente, e l'8 febbraio 1951 la sezione istruttoria di Venezia ordinò un nuovo rinvio a giudizio avanti alla corte d'Assise di Brescia degli imputati delle due istruttorie, per rispondere dei reati precedentemente contestati, cui si aggiunsero i reati di sequestro di persona, plagio e attentato all'integrità territoriale dello stato. Il processo venne trasferito una seconda volta per legittima suspicione avanti alla corte d'Assise di Lucca, dove ricominciò la fase dibattimentale a settembre del 1951[53]. Alcuni dei maggiori imputati erano da tempo fuggiti in Jugoslavia[54]. Il 6 aprile 1952 vi fu la prima sentenza: Mario Toffanin "Giacca", Vittorio Juri "Marco" (uno dei due luogotenenti di "Giacca", assieme a Plaino) e Alfio Tambosso "Ultra", vennero condannati all'ergastolo; Aldo Plaino "Valerio" e Ostelio Modesti "Franco" a trent'anni di reclusione ciascuno. Nel complesso, vennero irrogati tre ergastoli e 659 anni di reclusione a quarantuno imputati[55], ridotti però a 289 per l'applicazione di una serie di condoni previsti da norme entrate in vigore negli anni: Toffanin e Juri si videro quindi ridotta la pena a trent'anni, Tambosso a ventinove, Modesti a nove e Plaino a dieci. Dieci imputati vennero assolti: fra di essi Lino Zocchi "Ninci", Mario Fantini "Sasso" (già comandante della Brigata Garibaldi Natisone), Valerio Stella "Ferruccio" (già comandante della Brigata Garibaldi Friuli) e Giovanni Padoan "Vanni". Tutti gli imputati vennero assolti dal reato di tradimento per attentato all'integrità dello Stato[56][57]. Alla lettura della sentenza, Modesti si rivolse ai giudici con queste parole: "Signori, la vostra sentenza ha avuto il potere di serrare dinanzi a noi le sbarre di questa gabbia, ma noi siamo più forti di voi!", al che gli altri imputati gridarono: "Viva la Resistenza!"[56].

L'appello

1 maggio 1954: l'Unità riferisce della sentenza del processo di appello

Il processo in secondo grado si svolse presso la Corte d'assise d'appello di Firenze, cui si erano appellate le parti per motivi opposti: la pubblica accusa per un inasprimento generale delle pene e per il riconoscimento del reato di tradimento, le difese per chiedere l'assoluzione piena. La sentenza del 30 aprile 1954 riconobbe che "la strage (...) fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava", ma assolse gli imputati per il reato di tradimento poiché "l'azione degli imputati non è stata determinante perché l'occupazione jugoslava sarebbe avvenuta ugualmente"[58]. Vennero confermate le pene precedentemente inflitte dalla Corte d'Assise di Lucca per i reati principali ed inasprite le pene per i reati di sequestro di persona e saccheggio. Giovanni Padoan "Vanni" - precedentemente assolto per insufficienza di prove - fu condannato alla pena di trent'anni di reclusione, ridotti a due per effetto delle varie amnistie e condoni. A causa di tali provvedimenti legislativi, nessuno dei condannati presenti al processo finì in prigione, mentre una parte di essi continuava la latitanza all'estero[59]. Tre giorni dopo, in seconda pagina su l'Unità apparve un articolo dell'inviato speciale Ferdinando Mautino "Carlino", già capo di stato maggiore delle Divisioni Garibaldi del Friuli e fra i fautori della sottomissione dei garibaldini al IX Korpus sloveno[60], che stigmatizzò "la speculazione democristiana sui fatti di Porzûs, fra le tante porcherie commesse da questi nostri dirigenti e nemmeno fra le più rimarchevoli"[61]. Il procuratore generale di Firenze impugnò la sentenza presso la Cassazione, chiedendo l'annullamento dell'assoluzione per il reato di tradimento per aver attentato all'integrità dello stato nei confronti di Juri, Modesti, Padoan, Paino, Tambosso, Toffanin, Zocchi e Fantini. Nei confronti degli ultimi due, venne chiesto anche l'annullamento della sentenza di assoluzione per insufficienza di prove per il reato di omicidio, sequestro di persona e rapina[62]. Allo stesso modo, impugnarono la sentenza gli imputati per chiedere nuovamente l'assoluzione.

Quadro rissuntivo delle condanne in appello

Di seguito il quadro riassuntivo delle condanne e delle assoluzioni comminate dalla Corte d'Assise d'Appello di Firenze, con la propria sentenza del 30 aprile 1954[63]. Gli imputati erano accusati dei seguenti reati:

  • Omicidio aggravato e continuato
  • Rapina aggravata
  • Sequestro di persona
  • Tradimento[64]

La Corte d'Assise d'Appello assolse gli imputati dal reato di tradimento, con la formula "perché il fatto non costituisce reato": cassata l'assoluzione dalla Suprema Corte di Cassazione, il nuovo processo per lo stesso reato non venne celebrato per sopraggiunta amnistia[65].

Imputati condannati

Nome Cognome Nome di guerra Pena irrogata Note[66]
Mario Toffanin Giacca Ergastolo Comandante del gruppo
Vittorio Iuri[67] Marco Ergastolo Uno dei due bracci destri di "Giacca"
Alfio Tambosso Ultra Ergastolo Vicesegretario della federazione del PCI di Udine
Ostelio Modesti Franco 30 anni Segretario della federazione del PCI di Udine
Giovan Battista Padoan Vanni 30 anni Commissario politico della Brigata Garibaldi "Natisone"
Aldo Plaino Valerio 30 anni Uno dei due bracci destri di "Giacca"
Lorenzo Deotto Lilly 22 anni e 8 mesi Comandante del GAP "Giotto". Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
Leonida Mazzaroli Silvestro 22 anni e 8 mesi Compagno di scuola dell'osovano Leo Patussi "Tin", probabilmente salvato grazie alla loro amicizia[68]. Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi"
Urbino Sfiligoi Bino 22 anni e 8 mesi Comandante del GAP "Ardito". Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
Tullio Di Gaspero Osso 20 anni e 8 mesi Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
Ernesto Canzut Lesto 18 anni e 7 mesi
Felice Angelini Fuga 18 anni
Silvano Bon Sino 18 anni
Alessio Cantarutti Stefano 18 anni
Rosario Cepile Centro 18 anni
Adriano Cernotto Ciclone 18 anni
Olivo Collarig Tabacco 18 anni
Marcello Del Torre Freccia 18 anni
Luigi Fabiani Lolo 18 anni
Gino Felcaro Pacifico 18 anni
Giorgio Iulita Jolly 18 anni Comandante dela GAP "Tremenda"
Carlo Maurencig Pin 18 anni
Venuto Mauri Piero 18 anni
Antonio Mondini Boris 18 anni
Mario Giovanni Ottaviano Bibo 18 anni
Fortunato Pagnutti Dinamite 18 anni Guida dei gappisti verso le malghe di Topli Uork
Renato Peressan Titti 18 anni
Gino Persoglia Lula 18 anni
Bruno Pizzo Cunine 18 anni
Remigio Russian Ruota 18 anni
Giorgio Sfiligoi Terzo 18 anni
Gino Tami Pue 18 anni
Tarcisio Venica Furia 18 anni
Alfredo Zuppel Vespa 18 anni
Enzo Iurich Ape 14 anni e 4 mesi Uccisore di Angelo Augelli "Massimo"
Dario Enzo Iaizza Ivo 12 anni e 9 mesi Uccisore di Franco Celledoni "Atteone"
Giovanni Brach Buco 12 anni 1 mese e 10 giorni
Alfredo Caldana Bomba 12 anni 1 mese e 10 giorni
Bruno Grion Falchette 12 anni 1 mese e 10 giorni
Ferruccio Peressin Ferro 12 anni 1 mese e 10 giorni
Edo Zuppel Eppel 12 anni 1 mese e 10 giorni
Sergio Zuppel Longo 12 anni 1 mese e 10 giorni

Imputati assolti per insufficienza di prove

Nome Cognome Nome di guerra Note
Mario Fantini Sasso Comandante della Brigata Garibaldi Natisone

Imputati assolti per non aver commesso i fatti in ordine agli omicidi e per insufficienza di prove per il resto

Nome Cognome Nome di guerra Note
Livio Bastiani Bianco
Gustavo Bet Gastone Comandante del GAP "Amor"
Adino Longo Condor
Valerio Stella Ferruccio Comandante della Brigata Garibaldi Friuli
Lino Zocchi Ninci Comandante delle Divisioni Garibaldi Friuli

Il processo in Cassazione

Il 18 giugno 1957 iniziò la discussione dell'impugnazione della sentenza di secondo grado presso la Corte di Cassazione: il Procuratore Generale - in linea con le richieste della procura di Firenze - chiese il rigetto del ricorso degli imputati e un nuovo processo per il reato di tradimento[69]. Il giorno successivo la Corte accolse in toto le tesi dell'accusa, confermando le sentenze per gli omicidi e i reati minori connessi - che quindi divennero definitive - ma stabilendo l'istruzione di un nuovo processo presso la Corte d'assise d'appello di Perugia per il solo reato di tradimento per attentato contro l'integrità dello stato per tutti gli imputati più importanti, nonché per il reato di omicidio, rapina e sequestro di persona per Zocchi e Fantini[70].

Il nuovo processo a Perugia

Fra la sentenza della Cassazione e l'apertura del procedimento a Perugia, venne emesso un ulteriore provvedimento di amnistia e indulto (DPR 11 luglio 1959 n. 460), che coprì anche i reati di natura politica, intendendo con ciò anche ogni delitto comune determinato - in tutto o in parte - da motivi politici[71]. Pervenuti quindi gli atti nel capoluogo umbro, il procuratore generale di Perugia chiuse la fase istruttoria rilevando l'estinzione del reato per sopraggiunta amnistia per tutti gli imputati (11 marzo 1960). Nessuno di essi esercitò - come avrebbe potuto ai sensi della citata legge - il diritto di rinuncia al beneficio al fine di farsi giudicare nel processo[72]. Questo fu l'ultimo della lunga catena di atti processuali relativi alle vicende legate alla strage di Porzûs.

La sorte dei condannati e la medaglia d'oro a De Gregori

Nessuno dei condannati scontò la pena in prigione, salvo il periodo della detenzione in attesa della conclusione del processo, che in alcuni casi si protrasse per qualche anno. Mario Toffanin - condannato in contumacia - dopo l'ultima amnistia del 1973 non tornerà in Italia, dovendo ancora scontare altri trent'anni di prigione in base a quattro sentenze delle Corti d'assise di Trieste e Udine per furti, rapine, estorsioni e omicidi - anche ai danni di una compagna di lotta[73] - commessi fra il 1940 e il 1946 e che non erano stati amnistiati, ma non vi tornerà neppure nel luglio del 1978, quando sarà graziato dal Presidente Sandro Pertini da poco insediatosi al Quirinale. Morirà a Sesana (Slovenia) il 22 gennaio 1999. Toffanin, negli anni successivi alla fuga, si dichiarerà sempre certo del tradimento della Osoppo: ribadirà più volte la correttezza delle sue azioni e continuerà ad accusare gli uomini della Osoppo, tra le altre cose, di aver inglobato al proprio interno molti uomini appartenenti a gruppi fascisti, di aver collaborato attivamente con gli uomini della RSI e di aver spesso trattenuto le forniture di armi e attrezzature inglesi che secondo gli accordi spettavano ai garibaldini[74]

A De Gregori nel 1945 fu riconosciuta la medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con una motivazione contenente la seguente frase:Vorlage:Quoteche non facendo alcun riferimento all'eccidio e ai suoi esecutori venne molti anni dopo considerata "ineffabile", "reticente"[75] o indice di "contorsionismo"[76]. All'interno del sito ufficiale dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) si afferma che De Gregori sarebbe morto "in uno scontro tra partigiani"[77].

L'eccidio e le polemiche politiche e storiografiche

Le responsabilità politiche e materiali dell'eccidio di Porzûs sono state al centro di un infuocato dibattito politico e storiografico, intersecatosi fino agli anni '60 del '900 con i processi ai quali furono sottoposti esecutori e presunti mandanti della strage. Gli eventi legati a Porzûs hanno acquisito un valore paradigmatico: per gli uni del tentativo di delegittimare la Resistenza proiettando sull'intero movimento partigiano un episodio ritenuto marginale, per gli altri della vera natura totalitaria e antidemocratica del Partito Comunista Italiano[78].

Dal processo al 1960

Durante il lungo periodo in cui si susseguirono le vicende processuali, il PCI organizzò una campagna di stampa contro i reparti partigiani della Osoppo: in vari articoli de l'Unità vennero rimarcate tutte le accuse di connivenza con fascisti e nazisti che erano state avanzate all'epoca dei fatti. Allo stesso tempo, si stigmatizzò ancora una volta la figura della Turchetti, nuovamente descritta come "spia dei tedeschi, abbondantemente pagata"[79]. Fu respinta con sdegno l'infamante accusa di tradimento che aveva coinvolto in pratica tutti i vertici politico-militari del partito operanti in Friuli-Venezia Giulia nell'ultimo periodo bellico. Il PCI considerò tutto il processo una volgare montatura costituita da un castello di menzogne, da inserirsi nell'ampio filone processuale di natura reazionaria e neofascista di "messa sotto accusa" della Resistenza, operata dalle classi borghesi e capitaliste con ampi appoggi politici nel governo italiano, e segnatamente nella Democrazia Cristiana. Nel collegio di difesa degli accusati vi furono - fra gli altri - gli avvocati e parlamentari comunisti Umberto Terracini - già presidente dell'Assemblea Costituente[80] - Fausto Gullo - già Ministro di Grazia e Giustizia - e Aldo Buzzelli, nonché i parlamentari socialisti Giuseppe Ferrandi e Leonetto Amadei, in anni successivi Presidente della Corte Costituzionale[81]. Il 25 aprile 1950 - in occasione del quinto anniversario della liberazione - una delegazione di cinque parlamentari comunisti capeggiata da Luigi Longo e Gian Carlo Pajetta fece visita ai detenuti accusati dell'eccidio, arrestati poco prima su ordine degli inquirenti[82]. Alle due sentenze di Lucca e Firenze, la stampa comunistà rimarcò il fatto che era stato escluso il reato di tradimento, scandalizzandosi per la riapertura del caso a seguito della sentenza della Cassazione. Della chiusura della vicenda per intervenuta amnistia non venne data notizia. Per quindici anni sulla vicenda cadde il silenzio, rotto solo dalle annuali rievocazioni a cura dei reduci della Osoppo.

Gli anni '70

Nel 1975 uscì il primo studio specificamente dedicato all'eccidio, Porzûs, due volti della Resistenza di Marco Cesselli, ricercatore dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, edito da una piccola casa editrice dell'area della Sinistra e pubblicizzato anche nelle pagine de l'Unità[83], nel quale si espressero per la prima volta - sia pure con qualche cautela - delle aperture verso una revisione della precedente interpretazione dell'eccidio.

Gli anni '80

Dopo il libro di Cesselli, sulla vicenda di Porzûs cadde nuovamente l'oblio: nel corso degli anni '80 la questione non suscitò quasi nessun interesse da parte degli storici accademici: all'inizio del decennio "il solo nominarla veniva considerato come un tentativo di screditare il movimento partigiano"[84].

Le polemiche degli anni '90

A maggio del 1990, per la prima volta due esponenti locali del PCI salirono alle malghe di Topli Uork per rendere omaggio ai partigiani della Osoppo: a quell'epoca la tesi espressa fu quella del "tragico errore" nel quale erano caduti i partigiani comunisti[85]. Si elevarono varie proteste nel partito, ritenendo quella visita un grave passo falso, e fra i reduci partigiani comunisti e quelli della Osoppo si aprì nuovamente un'aspra polemica, con accuse e controaccuse. Intervenne su l'Unità come vicepresidente dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione lo stesso Mario Lizzero "Andrea", che come commissario politico delle Brigate Garibaldi in Friuli già a ridosso dell'eccidio aveva chiesto la condanna a morte per Toffanin e i suoi, ribadendo il suo punto di vista: "Dopo tanti anni si dice parli chi sa, si dica quel che c'è da dire, come se non si sapesse che sui fatti di Porzûs ci sono stati tre processi (...). [Si è trattato] di un orrendo crimine senza alcuna possibile giustificazione"[86].

In un libro autobiografico apparso postumo nel 1995[87], Lizzero tornerà ancora una volta sulla questione:Vorlage:Quote

Porzûs e Gladio

All'epoca della pubblicazione del libro di Lizzero, la polemica sull'eccidio di Porzûs e più generalmente sul ruolo delle Brigate Osoppo era già nuovamente esplosa due volte: una prima a partire dal 1990, a causa della rivelazione pubblica dell'esistenza di Gladio, un'organizzazione paramilitare segreta sorta in ambito NATO per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai paesi dell'Europa occidentale, alla quale aderì un numero tuttora imprecisato - probabilmente dell'ordine di alcune centinaia - di ex partigiani della Osoppo[88]. La polemica raggiunse il suo acme quando l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel corso di una visita in Friuli fra il 7 e il 9 febbraio del 1992 incontrò pubblicamente un gruppo di appartenenti a "Gladio", accusando i partigiani comunisti di aver combattuto anche per l'instaurazione di una dittatura, contro gli interessi nazionali dell'Italia. Riguardo all'eccidio, Cossiga dichiarò:Vorlage:QuoteIl 16 febbraio dello stesso anno, Cossiga fu il primo Presidente della Repubblica Italiana a recarsi in visita - sia pur privatamente - alle malghe di Topli Uork[89].

Le polemiche successive

La seconda volta in cui si assistette ad un nuovo rinfocolarsi di polemiche sull'eccidio di Porzûs si ebbe nell'ambito di un più ampio dibattito sulla revisione storiografica degli anni del fascismo e della Resistenza, notevolmente aumentato nel momento in cui il Movimento Sociale Italiano, nato esplicitamente come erede politico del fascismo, andò al governo in Italia nel 1994. Il tema principale del dibattito rimase lo stesso degli anni '50: i mandanti dell'eccidio e il ruolo del PCI, visto però nell'ottica più ampia dei massacri delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata successivo alla seconda guerra mondiale e della perdita di gran parte della Venezia Giulia a seguito del Trattato di pace del 1947[90]. Il rinnovato interesse per queste tematiche - alcune delle quali precedentemente quasi mai trattate dalla storiografia accademica - si accompagnò a varie polemiche storico-politiche, riprese e ancor più ingigantite da una serie di articoli di stampa. Vennero pubblicati diversi saggi, che a loro volta causarono ulteriori polemiche, anche a causa della nascita e dello sviluppo di svariate ipotesi - le più diverse - sui mandanti effettivi dell'eccidio.

Il film sull'eccidio (1997)

La notizia che alla 54ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia sarebbe stato presentato un film sull'eccidio - Porzûs, di Renzo Martinelli - causò ulteriori polemiche. L'allora ministro dei Beni culturali Walter Veltroni affermò di aver ricevuto delle pressioni per bloccarne l'uscita o perlomeno la partecipazione alla Mostra del Cinema[91]. Le polemiche si trasformarono in critiche in seguito alla visione del film, da alcuni ritenuto "una spettacolarizzazione urlata, qua e là addirittura volgare", di bassa obiettività storica[92]. Il più importante quotidiano sloveno - Delo - accusò gli "ex comunisti in Italia" (PDS) di utilizzare un film sul "più celebre falso storico organizzato dai servizi segreti italiani" come strumento "per condurre una guerra di propaganda contro Slovenia e Croazia"[93].

I mandanti e le motivazioni dell'eccidio

Nei decenni, varie ipotesi sono state avanzate sui mandanti dell'eccidio e sulle sue motivazioni, spesso in corrispondenza con la scoperta di nuovi documenti o con l'apertura di nuovi filoni giudiziari. Tali ipotesi arrivano a divergere radicalmente, proponendo letture totalmente antitetiche. Alcuni fra gli stessi protagonisti dei fatti, col passare del tempo hanno modificato - anche in maniera notevole - le proprie precedenti dichiarazioni, rendendo il quadro ancor più difficile da interpretare.

La versione di Toffanin

Mario Toffanin "Giacca" - il principale responsabile materiale dell'eccidio di Porzûs - rilasciò una serie di interviste negli anni '90, nelle quali ribadì sempre la stessa versione: la Osoppo era responsabile di aver intrattenuto rapporti con la Decima Mas e con i tedeschi e stava organizzando l'eliminazione del comando GAP; l'organizzazione della missione alle malghe di Topli Uork era stata solo sua; l'eccidio fu un legittimo atto di guerra, giustificato dal tradimento degli osovani e causato dall'impeto rabbioso derivante dall'aver visto la spia Elda Turchetti presso il comando partigiano: un'azione che Toffanin avrebbe sempre rifatto tale e quale, senza alcun ripensamento; il processo fu una manovra, ordita dai democristiani[37][94]. In tali interviste Toffanin cambiò completamente la propria versione rispetto a quanto aveva dichiarato nella relazione scritta a ridosso del fatto: le strutture del PCI non risultavano più coinvolte in nessuna fase dell'evento, venendo disconosciuta l'esistenza di un qualsiasi ordine superiore relativamente alla missione e ai suoi scopi. Interrogato sulla discrepanza fra le due versioni, Toffanin affermò che la relazione del 1945 era in realtà un falso[37], ma nel 1975 lo stesso Toffanin aveva rilasciato la seguente dichiarazione autografa per il libro di Cesselli:Vorlage:Quote

La tesi dei mandanti sloveni

L'ipotesi che nella storiografia italiana ha via via preso più vigore, anche sulla scorta delle risultanze processuali - che hanno espressamente indicato che il passaggio dei garibaldini della "Natisone" alle dipendenze del IX Korpus, la propaganda filojugoslava svolta nei confronti di formazioni partigiane e l'eccidio di Porzûs facevano parte di un medesimo disegno criminoso avente come scopo ultimo la cessione di parti dello stato italiano alla Jugoslavia[95] - e infine dell'apertura di una serie di archivi prima inaccessibili, attribuisce la motivazione dell'eccidio ad una sorta di "pulizia preventiva" contro gli oppositori - reali o potenziali - del regime comunista jugoslavo che secondo i disegni espansionistici di Tito avrebbe dovuto annettere anche i territori friulani e giuliani prossimi all'attuale confine, comprendenti il Goriziano, la Slavia Veneta e la striscia costiera che da Trieste va fino a Monfalcone. La stessa dinamica avrebbe portato anche ai massacri delle foibe, nelle quali furono eliminati - fra l'altro - centinaia di italiani considerati contrari all'annessione jugoslava. La tesi secondo la quale l'eccidio di Porzûs sia imputabile agli sloveni trovò alcune indirette conferme documentali: l'eccidio venne anche preannunciato in un rapporto al Foreign Office pervenuto pochi giorni prima della strage: in esso un ufficiale di collegamento britannico al seguito dei partigiani sloveni operanti nell'Italia nordorientale aveva reso noto che l'unità cui era aggregato aveva catturato alcuni partigiani della Osoppo, e che alle sue rimostranze il comandante sloveno aveva risposto di avere agito in base ad ordini superiori. L'autore del rapporto aveva espresso quindi l'opinione che gli sloveni avevano l'intenzione di attaccare il comando generale delle brigate Osoppo[96].

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Giovanni Padoan "Vanni", in una vecchia foto segnaletica

Fra gli autori che hanno in vario modo contribuito a questa ricostruzione dei fatti o l'hanno fatta propria almeno in senso generale, sono da ricordare Marina Cattaruzza[97], Tommaso Piffer, Elena Aga Rossi[98], Raoul Pupo[99], Sergio Gervasutti[100] ed altri.

Nel 2001, l'allora commissario politico della divisione "Garibaldi-Natisone" Giovanni Padoan "Vanni" - condannato in appello e in cassazione - confermerà pienamente questa ricostruzione, con una dichiarazione che ebbe il valore di un'assunzione piena di responsibilità per sé e il suo reparto, indicandone espressamente mandanti ed esecutori: Vorlage:Quote

Le ricostruzioni di Aldo Moretti

don Aldo Moretti "Lino"

Monsignor Aldo Moretti "Lino" - Medaglia d'oro al valor militare e fra i fondatori delle Divisioni Osoppo, affermò varie volte che l'eccidio di Porzûs era stato compiuto: Vorlage:QuoteIn un’intervista a Famiglia Cristiana del 1997, Moretti espresse anche l'opinione secondo la quale gli Alleati, pensando già al dopoguerra e temendo la collaborazione tra i partigiani cattolici e partigiani comunisti, avessero cercato di dividere questo fronte fino a sacrificare la Osoppo per mano delle formazioni comuniste oramai al servizio degli jugoslavi, al fine di screditarle: Vorlage:QuoteLe stesse denunce di Radio Londra contro Elda Turchetti sarebbero rientrate in questa strategia. Moretti sostenne inoltre che gli attriti fra i garibaldini e gli osovani del'autunno del 1944 avevano dato il via a voci di collaborazione tra il gruppo Osoppo e le forze nazifasciste, voci peraltro recisamente negate: Vorlage:Quote In questa atmosfera di sospetto due proposte di alleanza contro le formazioni comuniste arrivarono alla Osoppo da parte del federale fascista di Udine, per conto del tenente colonnello delle SS von Hallesleben, ma vennero respinte subito da Moretti con due lettere, datate 28 dicembre 1944 e 10 gennaio 1945, fatte pervenire al federale di Udine tramite l'arcivescovo Giuseppe Nogara[74]. Le voci tuttavia divennero insistenti quando Cino Boccazzi, partigiano della Osoppo preso prigioniero dalla Xª Flottiglia MAS, venne effettivamente mandato a Udine (secondo la ricostruzione data da Moretti - ribadita in sede processuale dallo stesso Boccazzi - sotto la minaccia di veder uccisa la propria moglie e i propri figli se si fosse rifiutato) per cercare un contatto per una possibile collaborazione nella difesa del confine orientale. L’ufficiale britannico Thomas Rowort "Nicholson" - presente in incognito a Udine e a cui era stata riferita la proposta - attese prima di consultarsi con il comando a Londra, che rispose poi negativamente all'offerta. L'attesa rese ancora più forti le voci di una possibile trattativa tra la Osoppo e la Decima Mas[101]. Le accuse di collaborazionismo con i fascisti e con i tedeschi che fecero parte dell'ampia strategia messa in campo per screditare la Osoppo, continuarono anche dopo la fine della guerra, venendo riprese a partire dall'inizio degli anni Duemila da alcuni autori di estrema sinistra.

L'ipotesi di Moretti del coinvolgimento dei servizi segreti inglesi non è stata in seguito approfondita dalla storiografia internazionale, se non in termini globalmente più complottistici.

La tesi filojugoslava

La storiografia jugoslava non produsse alcuno studio sull'eccidio di Porzûs. Così com'era stata reclamata alla fine della prima guerra mondiale[102], la Slavia veneta venne richiesta ufficialmente dagli jugoslavi anche al termine della seconda guerra mondiale[103]: era comune ritenere - come affermò nel 1995 dopo il crollo della Federativa il primo ministro sloveno Janez Janša nel corso della prima celebrazione della Festa del ritorno del Litorale Sloveno alla madrepatria - che se "il regime jugoslavo non avesse trascinato il Paese al di là della cortina di ferro, avremmo potuto contare anche su Trieste, Gorizia e la Slavia veneta[104]".

In anni più recenti, la tematica dal punto di vista filojugoslavo è stata brevemente ripresa - fra le altre - dallo storico triestino Jože Pirjevec, nell'ambito in un saggio espressamente dedicato ai massacri delle foibe che ha creato una lunga serie di polemiche[105]. Per Pirjevec, nelle speranze dei comunisti sloveni e italiani l'impeto rivoluzionario comune avrebbe dovuto espandersi in tutto il nord Italia, vagheggiando addirittura che tutte le Divisioni Garibaldi "nell'Italia propriamente detta" si assoggettassero al Fronte di liberazione sloveno[106]. La Osoppo, costituendo un movimento resistenziale "bianco", per opporsi a queste mire avrebbe intrattenuto rapporti diplomatici con la Wehrmacht, con i collaborazionisti cosacchi e con la Decima Mas. Secondo Pirjevec, cinque partigiani garibaldini sarebbero stati uccisi da membri della Osoppo, quando fu diffusa la notizia della loro adesione al IX Korpus sloveno[107], mentre in Friuli si sarebbero manifestate delle "tendenze separatistiche (...), dove alcuni circoli pensavano di staccarsi dall'Italia e aderire come entità autonoma alla Jugoslavia". In questo quadro sarebbe avvenuto il "fatto tragico" dell'attacco gappista di Porzûs, del quale - sempre secondo Pirjevec - il IX Korpus sarebbe stato completamente ignaro, ma visto il successivo asilo prestato in seguito a Toffanin dagli sloveni, sarebbero sorte delle "voci tendenziose (...) che la strage fosse stata voluta da loro", il che avrebbe contribuito a far assumere a questo fatto "marginale pur nella sua tragicità" delle "dimensioni sproporzionate"[108].

Teorie del complotto

In un libro apparso nel 1995[109], la ricercatrice Alessandra Kersevan sottopose ad analisi una parte dei documenti e delle testimonianze all'epoca apparsi, il tutto presentato in maniera discorsiva come se si trattasse di un lungo colloquio fra due ricercatori. Alla luce di una serie di fatti contemporanei e successivi all'eccidio, Kersevan arrivò ad ipotizzare che nella vicenda di Porzûs vi fosse stato un massiccio intervento manipolatorio dei servizi segreti militari angloamericani in combutta con quelli italiani, in un quadro di doppi e tripli giochi che coinvolsero il PCI, l'ignaro Toffanin - che quindi sarebbe stato strumento inconsapevole dell'imperialismo americano - nonché la Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Nelle estreme terre nordorientali italiane si sarebbe quindi giocato fin dal 1944-1945 un prodromo della guerra fredda postbellica, con fortissime infiltrazioni fasciste repubblicane all'interno del movimento partigiano friulano, col fine ultimo di impedire il saldarsi dei movimenti comunisti sloveni e italiani in un moto rivoluzionario esteso al Nord Italia, gettando il discredito sui partigiani jugoslavi anche con altre contestuali campagne di disinformazione e manipolazione, come quella dei massacri delle foibe. In questo quadro, il IX Korpus sloveno sarebbe quindi stato contemporaneamente spettatore e vittima, mentre i comandi della Osoppo sarebbero stati in realtà conniventi con i nazisti e la Decima Mas, in funzione anticomunista e antislava, con la collaborazione occulta ma attiva delle potenze occidentali e la benedizione della chiesa cattolica locale, coinvolta fin nelle sue più alte gerarchie. Questa gigantesca operazione sarebbe poi continuata col processo, considerato dalla Kersevan una montatura basata in gran parte su testimonianze e documenti falsi o manipolati, compresi fra gli altri non solo il rapporto sui fatti stilato da Giacca e i suoi, ma anche la famosa lettera di accusa agli sloveni e ai garibaldini che Guido Pasolini spedì al fratello Pierpaolo a novembre del 1944 e che venne poi trasmessa da quest'ultimo alle autorità inquirenti[110]. Il tutto non sarebbe stato che il prodromo delle attività di Gladio, con varie connessioni con la mafia, la P2 e lo stragismo di stato. A partire dagli anni '90 a rafforzare tutto ciò - sempre secondo Kersevan - si sarebbe saldata un'altra manovra tutta politica ad opera degli eredi del PCI (PDS, poi DS) e dei fascisti (AN): una "convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Non è un caso che il film [su Porzûs][111] sia stato finanziato dall’allora governo di centro-sinistra, cioè dal ministro della cultura Walter Veltroni, ma apprezzato anche a destra"[112]. Secondo la Kersevan, con la fuga in Jugoslavia e in altri paesi socialisti degli imputati del processo condannati per vari reati, sarebbe stata costretta ad andarsene dal Friuli "la meglio gioventù"[113].

Una simile linea interpretativa è stata proposta anche dallo storico triestino dell'Università del Litorale di Capodistria Gorazd Bajc[114]: eccidio di Porzûs e massacri delle foibe sarebbero delle enormi montature propagandistiche montate ad arte o "incoraggiate" dai servizi segreti statunitensi, per spezzare l'intesa fra comunisti italiani e sloveni. Questa fu anche un'ipotesi avanzata nel 1997 dal giudice istruttore Carlo Mastelloni nell'ambito della sua inchiesta su Argo 16, peraltro conclusasi senza alcuna conferma giudiziaria e senza alcuna condanna[115]. In tale complesso contesto denso di doppi e tripli giochi, anche la stessa figura di Mario Toffanin sarebbe da riconsiderare: alcuni lo vedrebbero addirittura come agente dei tedeschi[116].

Le malghe di Porzûs come bene di interesse culturale

Il 18 gennaio 2010 la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia emise un decreto che rendeva di "interesse culturale" il "bene denominato Malghe di Porzûs", ma a seguito di una serie di polemiche derivanti dal contenuto della relazione storica allegata, il provvedimento venne revocato dal ministro per i beni culturali ed ambientali pro tempore, Sandro Bondi[117]. Corretta la relazione storica, il decreto fu reiterato a novembre dello stesso anno[118].

Da tempo è stato avviato l'iter procedurale per dichiarare le malghe di Porzûs monumento nazionale[119]. Alcuni dirigenti dell'ANPI si sono opposti all'iniziativa, così come si sono opposti alla proposta di intitolare alcune vie cittadine ai "martiri di Porzûs"[120].

La memoria

L'Associazione Partigiani Osoppo-Friuli - nata nel 1947 e non facente parte dell'ANPI, bensì della Federazione Italiana Volontari della Libertà - fin dai primi tempi della propria fondazione ha mantenuto vivo il ricordo dell'eccidio di Porzûs. Da svariati anni - in occasione dell'anniversario dell'assalto gappista - viene quindi organizzata una cerimonia direttamente alle malghe di Topli Uork, in genere accompagnata da altre manifestazioni di tipo storico/rievocativo o commemorativo, quali mostre, convegni, presentazione di libri, messe e concerti. Nel periodo estivo viene invece organizzato un incontro al Bosco Romagno, a ricordare gli osovani qui trucidati[121]. Entrambe le manifestazioni sono state variamente contrastate e contestate da vari gruppi della sinistra estrema oltre che - in certi casi - dall'ANPI. In anni più recenti alcune volte le critiche sono state portate utilizzando le teorie complottiste di Alessandra Kersevan[122][123][124]. Solo nel 2006 un rappresentante dell'ANPI, a titolo personale, ha partecipato alla cerimonia alle malghe.

Note

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Bibliografia

  • Gianfranco Bianchi, Silvano Solvani (cur.), Per rompere un silenzio più triste della morte. Il processo di Porzûs. Testo della sentenza 30.04.1954 della Corte d'Assise d'Appello di Firenze, La Nuova Base Editrice, Udine 2012 (prima ed. ivi 1983)
  • Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine 2003
  • Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna 2007
  • Marco Cesselli, Porzûs due volti della Resistenza, La Pietra, Milano 1975
  • Primo Cresta, Un partigiano dell'Osoppo al confine orientale, Del Bianco Editore, Udine 1969
  • Daiana Franceschini, Porzûs. La Resistenza lacerata, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1998
  • Sergio Gervasutti, Il giorno nero di Porzus, la stagione della Osoppo, Marsilio, Venezia 1997
  • Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2010.
  • Alessandra Kersevan, Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare, Edizioni Kappa Vu, Udine 1995
  • Antonio Lenoci, Porzûs. La Resistenza tradita, Laterza, Bari 1998
  • Giovanni Padoan "Vanni", Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al confine orientale, Del Bianco, Udine 1965
  • Giovanni Padoan "Vanni", Porzûs. Strumentalizzazione e verità storica, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2000
  • Tommaso Piffer (cur.), Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, Il Mulino, Bologna 2012

Voci correlate

Inquadramento generale
Reparti
Persone
Altro

Collegamenti esterni

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Porzûs Categoria:Storia del Friuli Eccidio, Por Eccidio, Por Eccidio, Por

  1. Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, tesi di dottorato presso l'Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008, p. 13. La tesi venne poi pubblicata col titolo Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2010.
  2. Nei giorni immediatamente successivi all'armistizio dell'8 settembre, le strutture direttive dei movimenti di liberazione sloveni e croati promulgarono due distinte dichiarazioni, con le quali proclamarono annesse alla Jugoslavia l'Istria (suddivisa fra Slovenia e Croazia) e la Venezia Giulia (alla Slovenia). Le dichiarazioni vennero confermate il 30 novembre 1943 a Jajce dal massimo organo federale, la Presidenza del Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ). Sul punto si veda Egidio Ivetic (cur.), Istria nel tempo. Manuale di storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Unione Italiana di Fiume, Università Popolare di Trieste, Rovigno 2006, p. 566.
  3. Patrick Karlsen, op. cit., pp. 16-17.
  4. Il virgolettato è tratto da Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi dell'eccidio di Porzûs, in Ventunesimo Secolo, 16, giugno 2008, pp. 84-85.
  5. Sergio Gervasutti, Il giorno nero di Porzûs. La stagione della Osoppo, Marsilio, Venezia 1997, p. 138.
  6. Il virgolettato in Patrick Karlsen, op. cit., p. 32.
  7. Braccio destro di "Bolla", scampò all'eccidio in quanto assente da Porzûs il 7 febbraio 1945.
  8. Su Emilio Grossi si veda Alberto Magnani, Emilio Grossi a Vercelli. La presa di coscienza di un ufficiale dell'esercito, dal sito dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
  9. Si vedano in merito le riflessioni di Marina Cattaruzza, L'Italia ed il confine orientale, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 270 ss.. Il testo della lettera è stato pubblicato varie volte, citato per primo - in ampi stralci - da Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. V. La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Einaudi, Torino 1975, pp. 436-438.
  10. La questione è riassunta fra gli altri da Giovanni Gozzer, Porzûs: una Yalta giuliana (dal sito del Centro Studi della Resistenza, l'articolo originariamente era apparso sul Corriere del Ticino, 17 novembre 1997) e da Roberto Roggero, Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, Greco & Greco Editori, 2006, ISBN 9788879804172, pp. 430-431, ma entrambi appaiono abbastanza lacunosi, sbagliando perfino il nome di Zocchi "Ninci" - chiamato "Bocchi". Molto più approfondita la ricostruzione di Sergio Gervasutti, op. cit., pp. 79-88.
  11. Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi (...) cit., p. 85.
  12. Si vedano in estratto alcune relazioni del comandante della Osoppo Francesco De Gregori "Bolla" in Primo Cresta, Gorizia e la sua lotta di liberazione, in I cattolici isontini nel XX secolo. III. Il goriziano fra guerra e ripresa democratica (1940-1947), Istituto di Storia Sociale e Religiosa, Gorizia 1987, pp. 231-257.
  13. Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi (...), cit. p. 85.
  14. Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine 2003, p. 101; sul punto anche Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi (...), cit. p. 85.
  15. Il vero nome dell'agente Trent era Issack Michael Gyori, nato in Ungheria e residente in Cecoslovacchia: il suo corpo è sepolto in Grecia. Si veda in merito il sito Special Forces Roll of Honour.
  16. Secondo la relazione del maggiore MacPherson del SOE, il battaglione partigiano sloveno "Rezianska" annunciò alla popolazione che Trent era stato portato "davanti alla giustizia" delle loro brigate, mentre tre osovani che gli facevano da scorta affermarono che era stato ucciso in uno scontro con i tedeschi. Si ipotizza che Trent fosse caduto in un tranello tesogli dagli sloveni e consegnato ai tedeschi. Così concludono Elena Aga Rossi, Antonio Carioti, I prodromi (...), cit., p. 86.
  17. Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 302-304.
  18. Fondo: Processo Porzûs. Documenti in copia da archivi di Tribunali, dall'Archivio dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. I nomi dei comandanti in Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 163. Secondo Gianni Oliva (La Resistenza: 8 settembre 1943-25 aprile 1945, Giunti, Milano 2003, p. 65), i gappisti facevano parte della Brigata "13 martiri di Feletto", ma la sua ricostruzione appare errata in molti particolari.
  19. Giovanni Di Capua, Resistenzialismo versus Resistenza, Rubbettino Editore srl, 2005, ISBN 9788849811971, pag 110
  20. Questa è la ricostruzione in Ercole Moggi, La dolente sfilata delle madri dei trucidati, in La Stampa, 15 gennaio 1950, p. 5.
  21. Alberto Bobbio, La strage di Porzus, la verità del partigiano Lino dal sito "resistenzaitaliana.it". L'articolo originale è apparso su "Famiglia Cristiana"]
  22. Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2002, p. 195.
  23. Roberto Roggero, Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, Greco & Greco Editori, 2006, ISBN 9788879804172, pag 433
  24. Secondo le direttive del Comando generale del Corpo volontari della libertà del Nord Italia, emanate nell'ottobre 1944, ogni forma di collaborazione con i soldati della RSI e con le forze germaniche era da considerare come tradimento da punire con la condanna a morte, ma dalle ricostruzioni del dopoguerra risultò che era sempre stata la Xª Flottiglia MAS a cercare degli accordi con la Osoppo per opporsi alle mire jugoslave sui territori orientali italiani, ottenendone però sempre un rifiuto. Sul tema si veda anche la ricostruzione di tutta la vicenda dalla parte della Decima Mas in Mario Bordogna, Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS, Mursia, Milano 1995, ISBN 88-425-1950-2.
  25. Si riportano qui le ricostruzioni tratte da Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 163 ss., assieme ai resoconti della stampa dell'epoca e all'ampio riassunto contenuto in Primo Cresta, Un partigiano dell'Osoppo al confine orientale, Del Bianco Editore, Udine 1969, pp. 123-125.
  26. Zio dell'omonimo cantautore romano Francesco De Gregori
  27. L'intero episodio in Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 164 e in Sergio Gervasutti, op. cit., p. 163.
  28. Secondo altre ricostruzioni, Comin invece sarebbe stato un partigiano comunista fuggito da un treno che lo stava conducendo in un lager tedesco, che aveva raggiunto le malghe di Topli Uork perché erano il covo partigiano più vicino. Brunello Mantelli, Porzus, la lezione non è il nazionalismo, in l'Unità, 23 febbraio 2003, p. 23.
  29. I responsabili del massacro nella morsa delle accuse, in La Stampa, 17 gennaio 1950, p. 4.
  30. L'eccidio di Porzus nel racconto di un superstite, in La Stampa, 6 ottobre 1951, p. 5.
  31. Dalla pagina dedicata a Francesco De Gregori "Bolla" nel sito dell'Istituto Mazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in italia.
  32. La data della morte e le brevi note biografiche sono tratte da Sergio Gervasutti, op. cit., pp. 213 ss.
  33. [1]
  34. Ercole Moggi, Nega e non ricorda il principale imputato, in La Stampa, 11 gennaio 1950, p. 4.
  35. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 172.
  36. Stralci della relazione in Alberto Buvoli, L'eccidio di Porzûs: ipotesi interpretative, in Storia contemporanea in Friuli, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Anno XXXI - Numero 32, Udine 2001.
  37. a b c Gian Antonio Stella, Strage di Porzus: non si pente il fucilatore "rosso" (testo dell'articolo), in Corriere della Sera, 31 gennaio 1992, p. 2.
  38. Tutto il racconto sulle inchieste partigiane è tratto per riassunto da Sergio Gervasutti, op. cit., pp. 172-176.
  39. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 173.
  40. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 173.
  41. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 174.
  42. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 174.
  43. Sergio Gervasutti, op. cit., pp. 174-175.
  44. Strage di partigiani, arriva il film tabu, articolo de Il Corriere della Sera, del 30 luglio 1997; sulla tempistica della destituzione di Toffanin, si veda Sergio Gervasutti, op. cit., p. 173.
  45. Giovanni Padoan "Vanni", La regia dei fatti di Porzûs, estratto da Id., Porzûs: strumentalizzazione e realtà storica, Edizioni della Laguna, 2000. Dal sito www.carnialibera1944.it, a cura dell'Associazione promotrice del Museo della Carnia Libera 1944.
  46. Non tutti gli imputati siederanno tra le sbarre, in La Stampa, 23 dicembre 1949.
  47. I responsabili del massacro nella morsa delle accuse, in La Stampa, 17 gennaio 1950, p. 4
  48. L'incartamento contenente la denuncia è conservato oggi presso l'Archivio dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. Si veda anche Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 14.
  49. Sergio Gervasutti, op. cit., p. 176.
  50. Ercole Moggi, Il processo per la strage dei partigiani della "Osoppo", in La Stampa, 10 gennaio 1950, p. 8.
  51. Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 14. Da questo testo è ricostruita quasi per intero la vicenda processuale nella parte relativa ai rinvii a giudizio e ai vari spostamenti.
  52. Il 26 settembre 1951 Pier Paolo Pasolini testimoniò in aula in quanto parte lesa. Fernando Bandini, Laura Betti (cur.), Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano 1977, p. 226.
  53. Il percorso processuale è ricostruito in Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 11-15, e in Sergio Gervasutti, op. cit., p. 177.
  54. Per la precisione, su 51 imputati risultavano latitanti Mario Toffanin "Giacca", Felice Angelini "Fuga", Bruno Gion "Falchetto", Vittorio Iuri "Marco", Leonida Mazzaroli "Silvestro", Fortunato Pagnutti "Dinamite", Bruno Pizzo "Cunine", Antonio Mondini "Boris" e Adriano Cernotto "Ciclone". L'elenco completo in Sergio Gervasutti, op. cit., pp. 177-178.
  55. IL conteggio esatto in Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 7-8. Il conteggio risulta di 704 anni, 2 mesi e 10 giorni secondo l'articolista de La Stampa che seguì il processo. Si veda Quarantun condanne per la strage di Porzus, in La Stampa, 7 aprile 1952, p. 1.
  56. a b Ferdinando Mautino, La sentenza per i fatti di Porzus ha stroncato l'infame accusa di tradimento, in l'Unità, 7 aprile 1952, p. 1.
  57. Quarantun condanne per la strage di Porzus, in La Stampa, 7-8 aprile 1952, p. 1.
  58. Il virgolettato è tratto da Si rifarà il processo per la strage di Porzus?, in La Stampa, 12 agosto 1955, p. 4.
  59. I garibaldini della "Natisone" assolti dall'accusa di tradimento, in l'Unità, 1 maggio 1954, p. 7.
  60. Sul punto si veda Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 19 ss.
  61. Ferdinando Mautino, La sentenza di Firenze, in l'Unità, 4 maggio 1954, p. 2.
  62. Si rifarà il processo (...), cit.
  63. Tutto il paragrafo è tratto da Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, Per rompere un silenzio più triste della morte. Il processo di Porzûs. Testo della sentenza 30.04.1954 della Corte d'Assise d'Appello di Firenze, La Nuova Base Editrice, Udine 2012 (prima ed. ivi 1983), pp. 5-9 e p. 279.
  64. Quest'accusa riguardava Toffanin, Iuri, Palino, Modesti, Tambosso, Zocchi, Padoan e Fantin. Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 247.
  65. Si veda il paragrafo "Il processo in Cassazione".
  66. Le note sono basate su Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit.. In caso opposto, viene citata direttamente la fonte alternativa.
  67. In altre fonti il nome è reso come Juri.
  68. Dino Messina, Porzus: si spara ancora, sul film, in Corriere della Sera, 29 agosto 1997..
  69. Chiesto un nuovo processo per il massacro di Porzus, in La Stampa, 19 giugno 1957, p. 4.
  70. Il quadro schematico della sentenza della Cassazione in Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., pp. 283-284.
  71. Questa era la previsione normativa, ai sensi dell'art. 1 del DPR. Si veda in merito Pietro Pomanti, I provvedimenti di clemenza. Amnistia, indulto e grazia, Giuffrè, Milano 2008, p. 76.
  72. Così fanno notare Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 284.
  73. Toffanin, Pertini lo graziò ma la Procura non voleva, in Corriere della Sera, 20 settembre 1997, p.13.
  74. a b Referenzfehler: Ungültiges <ref>-Tag; kein Text angegeben für Einzelnachweis mit dem Namen deotto.
  75. Paolo Simoncelli, Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie, in L'Avvenire, 27 maggio 2010.
  76. Alfio Caruso, Tutti vivi all'assalto, Longanesi, Milano 2003, p. 358.
  77. Francesco De Gregori, biografia dal sito dell'ANPI.
  78. Tommaso Piffer, Introduzione, in Tommaso Piffer (cur.), Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 7 ss.
  79. Per un riassunto generale di queste accuse si veda Ferdinando Mautino, La "Osoppo" strinse patti con la "X mas", in l'Unità, 6 ottobre 1951, p. 5.
  80. Ferdinando Mautino, Terracini smantella l'accusa di tradimento mossa a carico dei partigiani garibaldini, in l'Unità, 28 marzo 1952, p. 5.
  81. F.M. (Ferdinando Mautino), Il processo a Lucca per i fatti di Porzus, in l'Unità, 27 settembre 1951, p. 3.
  82. La celebrazione ufficiale a Roma. Reggio Emilia decorata con la medaglia d'oro, in l'Unità, 25 aprile 1950, p. 1.
  83. l'Unità, 21 marzo 1975, p. 5.
  84. Il virgolettato è tratto da una breve intervista alla storica Elena Aga Rossi, da Dario Fertilio, Malga Porzus, il risveglio della sinistra, in Il Corriere della Sera, 13 agosto 1997, p. 25.
  85. Esponenti del PCI di Udine ricordano partigiani uccisi dai garibaldini, in l'Unità, 23 maggio 1990, p. 4.
  86. "La Osoppo una tragedia per tutti", in l'Unità, 25 maggio 1990, p. 4.
  87. Mario Lizzerò morì a Udine l'11 dicembre 1994.
  88. Sul tema Cesare Bermani, Il nemico interno: guerra civile e lotte di classe in Italia, 1943-1976, Odreadek 2003.
  89. Cossiga oggi visita Porzus e Cargnacco, in l'Unità, 16 febbraio 1992.
  90. Sul tema si veda Glenda Sluga, The problem of Trieste and the Italo-Yugoslav border: Difference, Identity, and Sovereignity in Twentieth-Century Europe, State University of New York Press, 2002; con maggior intento divulgativo Philip D. Morgan, The fall of Mussolini: Italy, the Italians, and the Second World War, Oxford University Press, 2008. La connessione fra l'eccidio di Porzûs, i massacri delle foibe, l'esodo giuliano-dalmata e la perdita della Venezia Giulia - il tutto inquadrato per lo meno dal punto di vista cronologico - fa oramai parte di una vasta letteratura. A puro titolo di esempio si citano (in ordine alfabetico) Elena Aga Rossi, Il PCI tra identità comunista e interesse nazionale, in Marina Cattaruzza (cur.), La nazione in rosso: socialismo, comunismo e interesse nazionale 1889-1953, Rubbettino 2005; Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2003; Giovanni Sale, Il Novecento fra genocidi, paure e speranze, Jaca Book, Milano 2006
  91. Alberto Crespi, "Pressioni per bloccare Porzus", in l'Unità due, 5 settembre 1997, p. 1.
  92. Alberto Crespi, Partigiani da western, in l'Unità, 1 settembre 1997, p. 3.
  93. Porzus? Un falso antisloveno alimentato dal PDS, in Corriere della Sera, 21 agosto 1997, p. 27; Caso "Porzûs". Giacca ricorre agli avvocati, in l'Unità due, 22 agosto 1997, p. 8.
  94. Roberto Morelli, Io, pensionato delle Foibe, non mi pento, in Corriere della Sera, 30 agosto 1996, p. 15; Danilo De Marco, Nubi sulla Resistenza, in l'Unità due, 12 agosto 1997, p. 3; Massimo Nava, A Porzus fu giusto sparare: o noi o loro, in Corriere della Sera, 19 agosto 1997, p. 27.
  95. Gianfranco Bianchi, Silvano Silvani, op. cit., p. 247.
  96. Antonio Giulio de Robertis, La frontiera orientale italiana nella diplomazia della II guerra mondiale, Edizione Scientifiche Italiane, Napoli 1981, p. 247.
  97. Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna 2007, p. 279.
  98. Per questi due, si veda il testo collettaneo Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, Il Mulino, Bologna 2012.
  99. Raoul Pupo, Trieste '45, Laterza, Bari 2010, pp. 71-74.
  100. Sergio Gervasutti, op. cit..
  101. Referenzfehler: Ungültiges <ref>-Tag; kein Text angegeben für Einzelnachweis mit dem Namen Moretti.
  102. Ivo Lederer, La Jugoslavia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 140 ss.
  103. Documento ufficiale della Commissione storica italo-slovena, 2001, paragrafo 4, Periodo 1945-1956.
  104. Il Piccolo, 18 settembre 2005. Il discorso provocò qualche blanda reazione anche in Italia, quale un'interrogazione parlamentare del deputato di Alleanza Nazionale Roberto Menia[2].
  105. Jože Pirjevec, Foibe. Una storia italiana, Einaudi, Torino 2009, pp. 78-81. Fra i vari storici e giornalisti italiani che hanno criticato questo saggio, ricordiamo Paolo Mieli P.Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti, in Corriere della Sera, 6 aprile 2010., Roberto Spazzali R.Spazzali, Pirjevec: le foibe solo propaganda, in Il Piccolo, 13 ottobre 2009, Raoul Pupo e Giuseppe Parlato G.Parlato, Dalla Slovenia (via Einaudi) un altro falso storico sulle foibe, in Libero, 13 ottobre 2009.
  106. Jože Pirjevec, op. cit., p. 80 e nota 291.
  107. Jože Pirjevec, op. cit., p. 80. La notizia - tratta dall'autore da un archivio sovietico - non risulta finora presente in altre opere.
  108. Tutti i virgolettati da Jože Pirjevec, op. cit., pp. 80-81.
  109. Alessandra Kersevan, Porzûs: dialoghi sopra un processo da rifare, Edizioni Kappa Vu, Udine 1995.
  110. Alessandra Kersevan, Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra, in AA.VV., Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica, KappaVu, Udine 2008, pp. 115 ss.
  111. Si fa riferimento alla citata opera di Martinelli.
  112. Alessandra Kersevan, Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra, cit.
  113. Ivi.
  114. Gorazd Bajc, Operacija Julijska Krajina. Severovzhodna meja Italije in zavezniške obveščevalne službe, 1943-1945, Univerza na Primorskem - Znanstveno-raziskovalno središče, Zal. Annales, Koper 2006.
  115. Luciano Ferraro, Argo 16, tutti assolti: «Non fu un sabotaggio del Mossad», in Corriere della Sera, 17 dicembre 1999, p. 17.
  116. Sull'inchiesta di Mastelloni e le ipotesi su Toffanin, Gian Antonio Stella, Porzus. La grande trappola, in Corriere della Sera, 27 agosto 1997, p. 27.
  117. Il 9 maggio 2010, durante una conferenza stampa, l'onorevole Carlo Giovanardi contestò la correttezza della "Relazione storica" allegata al decreto, affermando che alcuni dei contenuti della stessa sembravano ripresi da Wikipedia. In merito si veda Il pasticcio ministeriale sull'eccidio di Porzus, articolo de Il Corriere della Sera, 27 maggio 2010. Il 25 maggio anche il quotidiano cattolico Avvenire - attraverso un editoriale delle storico Paolo Simoncelli (Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie, 26 maggio 2010), denunciò come erronea la versione dei fatti fornita dal decreto. Secondo Simoncelli la ricostruzione non rese giustizia di quanto storicamente accaduto e successivamente condannato dai tribunali. A questo articolo fecero seguito diversi interventi sui quotidiani nazionali. Per la revoca del provvedimento, si veda Porzûs, il ministero cambia rotta, in Avvenire, 28 maggio 2010
  118. Giovanardi: corretta la relazione storica sugli avvenimenti delle Malghe di Porzus, ANSA 26 novembre 2010.
  119. Antonio Corioti, Le malghe di Porzûs siano dichiarate monumento nazionale, in Corriere della Sera, 4 febbraio 2011.
  120. E' il caso di Giorgio Coianiz, presidente della sezione di San Giorgio di Nogaro (UD) dell'ANPI, che ha inviato una lettera aperta a tutti i consiglieri comunali del suo paese, nonché ai consiglieri della provincia, stigmatizzando quelli che a suo parere appaiono dei tentativi "beceri e populisti" di "riseminare odio". Si veda in merito L'ANPI scrive ai politici: su Porzûs non siet informati, in Messaggero Veneto, 19 agosto 2010.
  121. Si veda il sito ufficiale dell'Associazione.
  122. Ilaria Purassanta, Napolitano a Porzûs. L’Anpi: «La visita chiuda le polemiche», in Messaggero Veneto, 11 febbraio 2012. In questo articolo si riporta l'opinione di Federico Vincenti, presidente dell'ANPI per la provincia di Udine, che fra l'altro ha dichiarato: "(...) la strage alle malghe è imputabile a Mario Toffanin. La responsabilità è sua e invece hanno cercato di infangare il comandante e il commissario della Garibaldi e peraltro i loro diffamatori sono stati condannati di recente dal tribunale. È ora di finirla con il revisionismo storico che ha colpito e umiliato la nostra Resistenza friulana, una delle più forti in Europa.
  123. Foibe e revisionismo storico/politico, dal sito dei COBAS di Pisa.
  124. Alessandra Kersevan, Porzus. Lettera aperta al presidente Napolitano, dal sito Contropiano.org. Settimanale comunista online.