Vorlage:WIP Vorlage:Vaglio Vorlage:Incidente Vorlage:Storia del Friuli L'eccidio di Porzûs fu un episodio della storia della Resistenza italiana che riguardò l'uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di diciassette partigiani (sedici uomini e una donna, ex prigioniera) della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani — in prevalenza gappisti — appartenenti al Partito Comunista Italiano. L'accaduto fu ed è tuttora fonte di numerose polemiche in ordine ai mandanti dell'eccidio e alle sue motivazioni, e parte di una più ampia discussione storiografica, giornalistica e politica sulla natura e gli obiettivi immediati e prospettici del PCI in quegli anni, nonché sui suoi rapporti con l'Unione Sovietica e con i comunisti jugoslavi di Josip Broz Tito[1][2][3][4][5][6].
Contesto storico
I partigiani jugoslavi nella Slavia veneta
Vorlage:Vedi anche Nella storia della guerra di liberazione, la situazione nelle estreme propaggini nord-orientali dell'allora territorio italiano presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. Abitata in parte da popolazioni slovene — ampiamente maggioritarie in varie zone — l'area comprende al proprio interno anche una regione denominata all'epoca Slavia veneta (oggi chiamata prevalentemente Slavia friulana, in sloveno Benečija ) appartenuta per secoli alla Repubblica di Venezia e incorporata al Regno d'Italia fin dal 1866. In tale contesto geografico operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati e inseriti all'interno dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (srb. Narodnooslobodilaćka vojska Jugoslavije – NOV in POJ o NOVJ ), alcune Brigate Garibaldi, fra le quali in particolare quelle inserite nella Divisione Garibaldi Natisone, costituita da militanti comunisti, e le Brigate Osoppo Friuli, con componenti di ispirazione laica, azionista, liberale, socialista e cattolica.
Tutte le terre a est del fiume Isonzo — e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta — furono rivendicate fin dalla fine del 1941 dalla nascente Jugoslavia di Tito[7], che le dichiarò ufficialmente annesse nel settembre del 1943[8]. All'interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in accordo con quanto aveva stabilito a seguito di precisa richiesta di Tito il segretario del Komintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS), e di tutte le formazioni combattenti nell'area al Fronte di Liberazione Sloveno[9].
L'obiettivo dei partigiani jugoslavi era triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell'Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione — reale o potenziale — a tale disegno e procedere nel contempo a una rivoluzione sociale di tipo marxista[10]. Lo sloveno Edvard Kardelj, uno dei più importanti collaboratori di Tito, fu categorico in tal senso: in una lettera del 9 settembre 1944 a Vincenzo Bianco — prescelto personalmente da Togliatti come delegato del PCI presso il Fronte di Liberazione Sloveno — scrisse che all'interno delle formazioni partigiane italiane occorreva «fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti». Con riferimento alle zone di operazioni del IX Korpus, così proseguì: «Non possiamo lasciare su questi territori nemmeno un'unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici»[11], auspicando il passaggio dell'intera regione alla nuova Jugoslavia: «Gli italiani saranno incomparabilmente più favoriti nei loro diritti e nelle condizioni di progresso di quel che sarebbero in un'Italia rappresentata da Sforza»[12]. Rispetto alla Osoppo, rilevò che fosse «sotto una forte influenza di diversi ufficiali badogliani e politicamente guidata dai seguaci del Partito d'Azione»[13].
La posizione del PCI
Il 13 ottobre 1944, sulle pagine dell'organo ufficiale del PCI Alta Italia La nostra lotta, fu pubblicato un lungo articolo anonimo, nel quale si prospettava l'ipotesi per cui «le forze popolari del Maresciallo Tito, appoggiate dal vittorioso Esercito Sovietico» avrebbero iniziato delle «operazioni di grande respiro» anche nella «Venezia Giulia (…) e [nei] territori dell'Italia Nord-Orientale». Salutando «quest'eventualità come una grande fortuna per il nostro paese», il giornale comunista invitava ad «accogliere i soldati di Tito non solo come liberatori allo stesso modo in cui sono accolti nell'Italia liberata i soldati Anglo-Americani, ma come dei fratelli maggiori che ci hanno indicato la via della rivolta (…) e che ci apportano (…) la libertà». I soldati di Tito erano quindi da considerare «come i creatori di nuovi rapporti di convivenza e di fratellanza, non solo fra i popoli jugoslavi ma fra tutti i popoli»: «non solo i territori slavi da essi liberati, ma anche quelli italiani non saranno sottoposti al regime di armistizio, ma considerati come territori liberi, con un proprio governo rappresentato dagli organismi del movimento di liberazione, nei quali (…) ogni popolo (…) trov[erà] immediata e sicura espressione democratica». Grazie quindi all'opera congiunta dei partigiani italiani e jugoslavi «sarà tutto il popolo italiano che si sentirà legato a tutti i popoli jugoslavi e balcanici (…) [e] che si collegherà, attraverso i popoli balcanici, alla grande Unione Sovietica che è stata, e sempre sarà, faro di civiltà e di progresso per tutti i popoli (…)». «Il Partito Comunista Italiano» — concludeva quindi l'articolo — «impegna (…) tutti i comunisti (…) a combattere come i peggiori nemici della liberazione nazionale del nostro Paese e, quindi, come alleati dei tedeschi e dei fascisti quanti, con i soliti pretesti del "pericolo slavo" e del "pericolo comunista" lavorano a sabotare gli sforzi militari e politici dei nostri fratelli slavi (…)»[16].
Il 17 ottobre 1944 Palmiro Togliatti ebbe un incontro personale a Roma con Kardelj e con altri dirigenti comunisti jugoslavi[17][18][19]: secondo la minuta dell'incontro di mano dello stesso Kardelj, il leader comunista italiano «non mette in discussione che Trieste spetti alla Jugoslavia, tuttavia ci raccomanda di applicare una politica nazionale che soddisfi gli italiani»[20]. Il 19 ottobre successivo Togliatti, quindi, inviò un'ampia lettera a Bianco, suddivisa in sei punti. Considerando «un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito», al fine non solo di battere tedeschi e fascisti, ma anche di creare nell'area «un regime democratico e progressivo», Togliatti ordinò di conseguenza alla Divisione Garibaldi Natisone di entrare nel NOVJ[21][22]. Togliatti scrisse anche di proprio pugno il testo dell'ordine del giorno che i garibaldini avrebbero dovuto adottare[23]:
Togliatti non fece riferimento esplicitamente alle Brigate Osoppo Friuli, ma dispose che «(…) i comunisti devono prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che si mantengono sul terreno e agiscono in nome dell'imperialismo e nazionalismo italiano e contro tutti coloro che contribuiscono in qualsiasi modo a creare discordia tra i due popoli»[24].
In conseguenza di ciò, fin dagli ultimi mesi del 1944 la Divisione Garibaldi Natisone passò sotto il comando del IX Korpus, venendo inquadrata all'interno del NOVJ su tre Brigate: 156ª Brigata "Bruno Buozzi", 157ª Brigata "Guido Picelli" e 158ª Brigata "Antonio Gramsci". Invece di rimanere a combattere nel territorio nazionale, a fine anno la Divisione fu trasferita all'interno della Slovenia, ritornando in Italia solo alla fine di maggio del 1945. I comandi della Osoppo invece rifiutarono, sostenendo di voler fare riferimento unicamente alle strutture direttive del Comitato di Liberazione Nazionale italiano. Questa situazione acuì una preesistente spaccatura all'interno delle forze partigiane italiane nella regione, che assunse sempre più le forme di un'aspra conflittualità ideologico-politica sui fini ultimi della lotta resistenziale e sulla sistemazione confinaria postbellica.
Tale acceso contrasto aveva conosciuto uno dei suoi momenti più importanti nell'agosto del 1944, con la destituzione dei comandi della Osoppo operata dal CLN udinese e dal Comitato Regionale Veneto e la loro sostituzione col seguente organigramma: al comando l'azionista Lucio Manzin "Abba", suo vice il comunista Lino Zocchi "Ninci", già comandante della brigata Garibaldi Friuli; commissario politico il comunista Mario Lizzero "Andrea", già commissario politico delle brigate Garibaldi Friuli; vicecommissario l'azionista Carlo Commessatti "Spartaco". Le formazioni della Osoppo avevano reagito con molta decisione, destituendo a loro volta i comandanti designati e rimettendo al loro posto i precedenti: Candido Grassi "Verdi" e il sacerdote Ascanio De Luca "Aurelio"[25].
Le pressioni slovene e garibaldine sugli osovani
Nella seconda metà del 1944 si moltiplicarono le pressioni slovene sui comandi osovani, contestualmente a una serie di accuse — sia da parte slovena che garibaldina — di intese della Osoppo con nazisti e fascisti, con i quali sarebbero stati presi accordi in funzione antipartigiana, di inserimento nelle proprie file di ex fascisti, di protezione di spie, furti di materiale e addirittura di collaborazione nell'omicidio di partigiani garibaldini[26]. A tali accuse il comando della Osoppo aveva replicato con una lunga serie di relazioni scritte, nelle quali si illustrava il violento contrasto che contrapponeva i propri reparti ai garibaldini e agli sloveni del IX Korpus, e si denunciavano una serie di incidenti a scapito degli osovani e le forti pressioni che continuavano ad esser esercitate per il passaggio della Osoppo alle dipendenze dei comandi sloveni, sia da parte di questi ultimi che da parte del comando della Garibaldi Natisone, pressioni accompagnate da varie minacce[27]. Nello stesso periodo diversi esponenti comunisti triestini di sentimenti filoitaliani, che avevano espresso dubbi sulla futura appartenenza della città alla Jugoslavia, furono arrestati dai tedeschi, si suppone in seguito a delazioni[26].
Un membro della missione britannica del SOE (Special Operations Executive), Michael Trent (al secolo Issack Michael Gyori, nativo ungherese e residente in Cecoslovacchia[28]), che, nello stesso periodo, aveva tentato una mediazione con i comandi del IX Korpus, fu ucciso in circostanze non chiare[29].
Il 22 novembre 1944, quindici giorni dopo l'inserimento dei garibaldini nel IX Korpus sloveno, ebbe luogo l'ultimo incontro (della durata di cinque ore) fra i comandi della prima Divisione Garibaldi Natisone e della prima Brigata Osoppo — presente il comandante osovano Francesco De Gregori "Bolla" — nel corso della quale i garibaldini esercitarono la massima pressione possibile per convincere gli osovani a seguirli nella loro scelta. In particolare, Giovanni Padoan "Vanni" (commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone) dichiarò che tutti i partigiani operanti nell'Italia nord-orientale dovevano porsi alle dipendenze degli jugoslavi e che, secondo una dichiarazione ufficiale del PCI, chi non avesse appoggiato gli jugoslavi sarebbe stato da considerare nemico del popolo italiano. Aggiunse poi che chi, fra Inghilterra e Jugoslavia, avesse scelto la prima sarebbe stato considerato conservatore e reazionario e ritenuto di conseguenza responsabile di fronte al popolo: i garibaldini non avrebbero mai permesso l'instaurazione di un regime democratico filoinglese in quelle terre. Inoltre "Vanni" parlò delle vicende confinarie, affermando che l'intera Venezia Giulia era da considerarsi legittimamente appartenente alla Slovenia, le cui forze partigiane avrebbero proceduto in quel territorio alla mobilitazione generale: nel contempo, intimò agli osovani di non procedere ad alcun tipo di mobilitazione o di reclutamento, mettendo in dubbio la legittimità del CLN. Il colloquio ebbe un andamento burrascoso e si concluse con una rottura completa[30].
A dicembre gli sloveni esercitarono pressioni sulla Garibaldi Natisone perché agisse contro il comando osovano di Porzûs[26][31]: infatti il 6 e 12 dicembre 1944, Mario Fantini "Sasso" e Giovanni Padoan "Vanni", come comando della Divisione Garibaldi Natisone, inviarono due lettere di risposta al superiore comando del IX Korpus[32]. Nella prima scrissero che:
Nella lettera successiva tornarono sul tema:
Il 1º gennaio 1945 si tenne un incontro in frazione Uccea di Resia fra Romano Zoffo "Livio" — già comandante della II Brigata Osoppo, in quell'epoca impegnato nell'organizzazione della VI Brigata Osoppo e in particolare del Battaglione Resia — e il commissario politico sloveno del Battaglione Rezianska, accompagnato da due ufficiali. In tale occasione gli sloveni affermarono che:
Vorlage:Quote Poco più di un mese dopo avvenne l'eccidio.
L'eccidio
L'attacco alle malghe
Il 7 febbraio 1945 un gruppo di circa cento unità partigiane comuniste appartenenti ai battaglioni GAP "Ardito" (al comando di Urbino Sfiligoi "Bino"), "Giotto" (al comando di Lorenzo Deotto "Lilly"), "Amor" (al comando di Gustavo Bet "Gastone") e "Tremenda" (al comando di Giorgio Iulita — o Julita — "Jolly")[33][34] e capeggiati da Mario Toffanin "Giacca" raggiunse il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, situato presso alcune malghe in località Topli Uork (in seguito la zona divenne più nota con il toponimo di Porzûs, dal nome di una vicina frazione), nel comune di Faedis nel Friuli orientale. L'ordine ai gappisti era pervenuto per iscritto dal vicesegretario della federazione del PCI di Udine — Alfio Tambosso "Ultra" — nei seguenti termini:
In seguito alcuni gappisti testimoniarono di non aver compreso il motivo della missione fino agli istanti precedenti l'eccidio.
La Brigata Osoppo ospitava Elda Turchetti, una giovane donna che Radio Londra aveva indicato come spia[35], dopo che alcuni informatori britannici avevano avuto segnalazioni su una sua presunta amicizia con soldati tedeschi. Giunta a conoscenza di tali voci sul suo conto, la stessa Turchetti si era presentata spontaneamente a un partigiano garibaldino suo conoscente di nome "Paura": questi l'aveva condotta presso il gappista Adriano Cemotto "Ciclone" (gerarchicamente dipendente proprio da Toffanin), che successivamente l'aveva consegnata al capo della polizia interna della Osoppo Tullio Bonitti, il quale infine la portò a Topli Uork[36]. Lì, dopo alcuni mesi di custodia, era stata ritenuta innocente al termine di un processo tenutosi il 1º febbraio 1945[37]. Dal ruolino della Osoppo tenuto da "Bolla" risulta che la donna era stata arruolata a tutti gli effetti nella 1ª Brigata Osoppo, col nome di "Livia"[38][39]. La protezione data a Elda Turchetti fu in seguito indicata — nelle varie e spesso contraddittorie ricostruzioni di Toffanin — come il motivo scatenante dell'azione dei partigiani garibaldini[40]. Successivamente all'eccidio, Toffanin accusò inoltre la Osoppo di aver contrastato la politica di collaborazione con i partigiani jugoslavi, di non aver redistribuito agli altri gruppi partigiani parte delle armi che fornite alla stessa Osoppo dagli angloamericani e di aver collaborato con elementi della Xª Flottiglia MAS e del Reggimento alpini "Tagliamento", appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana[41].
La ricostruzione dettagliata dello svolgimento dell'operazione gappista fu fornita nel corso dei processi e poi ripresa e approfondita in alcune pubblicazioni[42]. La colonna raggiunse l'abitato di Porzûs e poi si divise in gruppi, che raggiunsero le malghe di Topli Uork in momenti diversi. Per superare i posti di guardia osovani senza creare scompiglio, i gappisti affermarono d'essere in parte dei partigiani sbandati a seguito di un rastrellamento, in parte civili fuggiti da un treno che li portava in Germania, attaccato dall'aviazione alleata. Un gruppo di garibaldini si spacciò per osovano.
Il messaggero del gruppo agli ordini di Toffanin fu Fortunato Pagnutti "Dinamite", un partigiano del quale sia i garibaldini che gli osovani si fidavano, avendo già svolto incarico di staffetta fra i due reparti. Un osovano di guardia fu mandato a Topli Uork a informare Francesco De Gregori "Bolla"[43], comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, il quale inviò sul luogo il delegato politico[44] azionista della VIª Brigata Osoppo "Friuli" Gastone Valente "Enea", di passaggio alle malghe. Questi ordinò di separare i presunti osovani dai garibaldini, volendo inviare i secondi al vicino reparto garibaldino di Canebola (una frazione di Faedis). Durante l'operazione si palesò "Giacca", che fece immediatamente arrestare tutti gli osovani presenti e attese l'arrivo di "Bolla" — in precedenza chiamato da "Enea" — che si trovava in una baita a una certa distanza. Al suo arrivo "Bolla" fu immediatamente arrestato e subito dopo "Giacca" fece rastrellare la zona, catturando un altro gruppo di osovani in una malga vicina.
Nel contempo un reparto al comando di Vittorio Juri "Marco" si occupò di raccogliere tutto il materiale presente a Topli Uork: in tale frangente fu ucciso — essendo stato ritenuto un osovano — il giovane partigiano garibaldino Giovanni Comin "Tigre" (ribattezzato in seguito "Gruaro" dagli osovani). Questi era fuggito da un treno che lo stava conducendo in un lager tedesco ed era stato indirizzato a Topli Uork dal parroco di Reana del Rojale[45], poiché si trattava del covo partigiano più vicino[46]. Comin si stava avvicinando alle malghe dalla parte opposta alla strada percorsa dai gappisti, assieme al portavivande e staffetta della Osoppo Giovanni Cussig "Afro", che fu rapinato dell'orologio da polso da un garibaldino, ma presto rilasciato dietro assicurazione — data dall'osovano Gaetano Valente "Cassino" — che non si trattava di un partigiano[47][48].
Oltre a Comin furono subito uccisi De Gregori, Valente e la Turchetti. Dalle risultanze processuali risultò che De Gregori fu ucciso all'arma bianca, probabilmente per evitare il rumore delle armi da fuoco[49]. Aldo Bricco "Centina", futuro comandante designato della formazione a Topli Uork per il passaggio delle consegne con De Gregori e giunto in vista di "Giacca" e i suoi assieme a quest'ultimo, riuscì rocambolescamente a fuggire: apertosi un varco a forza fra i gappisti, si lanciò di corsa dal costone del monte innevato; ferito da sei colpi di arma da fuoco fu ritenuto morto, ma riuscì a trascinarsi fino al vicino paese di Robedischis, dove si fece medicare da alcuni partigiani sloveni, avendo loro raccontato d'esser stato ferito in uno scontro con i fascisti. Il giorno successivo fu arrestato dagli sloveni insospettitisi, ma fu liberato da un amico grazie a un falso salvacondotto. In seguito riuscì di nascosto a raggiungere le file osovane mentre i partigiani del IX Korpus intraprendevano una vana caccia all'uomo per riprenderlo[50].
Le uccisioni successive
Tredici altri partigiani, a seguito di processi sommari, furono imprigionati e fucilati nei giorni successivi nelle località limitrofe di Bosco Romagno, Ronchi di Spessa, Restocina e Rocca Bernarda (Prepotto): tra questi Guido Pasolini "Ermes", fratello di Pier Paolo, giunto a Topli Uork il 6 febbraio assieme a un gruppetto di osovani capitanato da "Centina". Condotto assieme a "Cariddi", "Guidone" e "Toni" presso il luogo della sua esecuzione, Pasolini riuscì inizialmente a sfuggire all'esecuzione mentre scavava la sua propria fossa. Ferito da una fucilata, raggiunse il paese di Sant'Andrat del Judro dove si fece medicare dal locale farmacista e poi proseguì a piedi per Dolegnano (San Giovanni al Natisone), rifugiandosi a casa di una conoscente: qui fu nuovamente arrestato dal partigiano Mario Tulissi, che lo riportò ai citati gappisti "Bino" e "Lilly". Trascinato una seconda volta sul luogo dell'esecuzione, Guido Pasolini fu ucciso con un colpo di pistola[51].
Furono risparmiati due osovani che passarono nei GAP, Leo Patussi "Tin" e Gaetano Valente "Cassino".
Questi ultimi, assieme a Bricco, dopo la guerra furono tra i principali accusatori di Toffanin e compagni nei vari processi che si svolsero fra Udine, Venezia, Brescia, Lucca e Firenze.
Altri quattro osovani — Enzo d'Orlandi "Roberto", Aroldo Bollina "Gianni", Antonio di Memmo "Pescara" e un quarto del quale si conosce solo il nome di battaglia, "Leo" — erano giunti alle malghe assieme a "Ermes" con il gruppo di "Centina" il giorno prima dell'attacco: si salvarono in quanto, alloggiati in una malga distante qualche centinaio di metri, erano fuggiti per tempo avendo percepito il pericolo.
Allo stesso modo si salvarono Giulio Emerati, Virgilio Cois, Giovanni Turco ed Enrico Smerrecar, che per portare armi o viveri stavano risalendo verso le malghe e furono fermati dai garibaldini ma rilasciati non essendo ritenuti osovani: con Emerati era il giovane studente in medicina Franco Celledoni "Atteone", che invece fu catturato e in seguito ucciso[52][53].
Altri osovani uccisi
Un evento considerato «il prologo dei tragici fatti di Porzûs»[54] ebbe luogo il 16 gennaio 1945, quando altri tre osovani — Antonio Turlon "Make" (in altre fonti "Macche" o "Macché"), Annunziato Rizzo "Rinato" e Mario Gaudino "Vandalo" — furono sequestrati da una pattuglia del IX Korpus sloveno in località Platischis nel comune di Taipana (UD): dopo le infruttuose richieste di rilascio da parte di "Bolla", i tre furono fucilati il 12 aprile 1945 nella località di Rucchin di Drenchia[55]: il nome di battaglia di tutti e tre appare nella lapide in memoria dei trucidati murata a Topli Uork, mentre il nome dei soli Turlon e Rizzo appare nel cippo Ai Martiri della Osoppo di Bosco Romagno (Cividale)[56]. Tra i partigiani sfuggiti all'eccidio figura Erasmo Sparacino "Flavio", che però fu catturato in seguito dai tedeschi e fucilato a Cividale il 12 febbraio 1945[57][58]: il suo nome appare comunque in entrambi i memoriali di cui sopra.
Le vittime
Quello che segue è l'elenco completo degli osovani uccisi[59].
Cognome e nome | Nome di battaglia | Luogo dell'uccisione | Data dell'uccisione | Note biografiche |
---|---|---|---|---|
Augello Angelo | Massimo | Rocca Bernarda | 9 febbraio 1945 | Nato a Canicattì (AG) il 22 luglio 1923. Effettivo del Gruppo Est Brigate Osoppo Friuli – I Brigata. Il suo corpo è tumulato a Udine. |
Cammarata Antonio | Toni | Bosco Romagno | 18 febbraio 1945 | Nato a Petralia Sottana (PA) il 23 dicembre 1923. Effettivo del Comando Gruppo Brigate Osoppo Friuli Est – I Brigata Reparto Comando. Tumulato prima a Cividale, poi a Udine. |
Celledoni Franco | Ateone (Atteone) | Rocca Bernarda | 12 febbraio 1945 | Nato a Faedis il 14 dicembre 1918. Effettivo della II Divisione Osoppo Friuli. Ufficiale medico (studente di medicina), fu catturato dai gappisti mentre si recava a Topli Uork. Tumulato a Faedis. |
Comin Giovanni | Tigre (o Gruaro) | Malghe di Topli Uork | 7 febbraio 1945 | Nato in località Bagnara di Gruaro (VE) nel 1926. Operaio. Garibaldino col nome di Tigre, era fuggito dalla deportazione in Germania e indirizzato a Topli Uork da un sacerdote. Nelle successive ricostruzioni di parte osovana fu chiamato Gruaro e dichiarato effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – Comando Gruppo Brigata Est – I Brigata – Battaglione Val Torre. Tumulato a Bagnara di Gruaro. |
De Gregori Francesco | Bolla | Malghe di Topli Uork | 7 febbraio 1945 | Nato a Roma il 10 giugno 1910. Capitano degli alpini. Comandante del Gruppo Brigate Osoppo dell'Est. Tumulato a Udine. |
Mazzeo Pasquale | Cariddi | Bosco Romagno | 18 febbraio 1945 | Nato a Messina il 9 maggio 1914. Già brigadiere della Guardia di Finanza prima di entrare nella Osoppo. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Udine. |
Michielon Gualtiero | Porthos | Bosco Musich – Restocina | Fra l'8 e il 18 febbraio 1945 | Nato a Portogruaro (VE) il 17 luglio 1920. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Portogruaro. |
d'Orlandi Enzo | Roberto | Bosco Musich – Restocina | 12 febbraio 1945 | Nato a Cividale del Friuli il 3 febbraio 1923. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Julio. Tumulato a Cividale del Friuli. |
Pasolini Guido | Ermes | Bosco Romagno | 12 febbraio 1945 | Nato a Bologna il 4 ottobre 1925. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – VI Brigata – Vice delegato Polizia di Brigata. Tumulato a Casarsa della Delizia (PN). |
Previti Antonio | Guidone | Bosco Romagno | 18 febbraio 1945 | Nato a Messina il 13 gennaio 1919. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Carabiniere a Zara prima di entrare nella Osoppo. Tumulato a Udine. |
Saba Salvatore | Cagliari | Bosco Romagno o Restocina | 9 febbraio 1945 | Nato a Sardiana (CA) il 22 luglio 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Tumulato a Udine. |
Sfregola Giuseppe | Barletta | Ronchi di Spessa | 7 o 8 febbraio 1945 | Nato a Barletta (BA) il 31 ottobre 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Ucciso prima che iniziassero gli interrogatori, prima di entrare nella Osoppo era brigadiere dei Carabinieri. Tumulato a Barletta. |
Targato Primo | Rapido | Bosco Romagno | 10 febbraio 1945 | Nato a Piombino Dese (PD) il 1º luglio 1923, residente a Novate Milanese. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Reparto Comando. Tumulato a Udine, il suo corpo in seguito venne traslato a Milano. |
Turchetti Elda | Livia | Malghe di Topli Uork | 7 febbraio 1945 | Nata a Povoletto (UD) il 21 dicembre 1923. Cotoniera. Ex prigioniera della Osoppo. Tumulata a Savorgnano al Torre (UD). |
Urso Giuseppe | Aragona | Bosco Musich – Restocina | 10 febbraio 1945 | Nato ad Aragona (AG) il 1º giugno 1923. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Tumulato a Udine, traslato poi a Canicattì (AG). |
Valente Gastone | Enea | Malghe di Topli Uork | 7 febbraio 1945 | Nato a Udine il 30 ottobre 1913. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli, delegato politico del Partito d'Azione. Tumulato a Udine. |
Vazzas (o Vazzaz) Egidio | Ado | Località ignota | 7 febbraio 1945 ? | Nato a Taipana (UD) il 10 settembre 1919. Muratore. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Il suo corpo non fu mai recuperato. Si presume che sia stato ucciso nelle vicinanze delle malghe di Topli Uork. |
Le prime notizie dell'eccidio e le reazioni
Nei giorni immediatamente seguenti all'eccidio, scoperto da alcuni abitanti del luogo, le notizie si accavallarono confuse: la direzione della federazione del PCI di Udine fece circolare la voce secondo la quale l'attacco fosse opera di forze tedesche o fasciste[60]. Qualche giorno dopo la Gioventù Antifascista Italiana e Slovena, un'organizzazione politica che propugnava l'annessione della zona alla Jugoslavia, organizzò a Circhina una conferenza cui parteciparono alcuni garibaldini della Natisone, nel corso della quale fu annunciata la soppressione del comando osovano senza peraltro specificare a opera di chi: vi furono applausi e grida di entusiasmo, giacché fra i garibaldini era opinione diffusa che gli osovani fossero dei reazionari in combutta con i fascisti[61].
La relazione di Toffanin, Plaino e Juri
Il 10 febbraio Mario Toffanin (che in tale occasione si firmò col suo secondo nome di guerra "Marino") e i suoi sottoposti, Aldo Plaino "Valerio" e il citato "Marco", stilarono una relazione indirizzata alla federazione comunista di Udine e al comando del IX Korpus sloveno tramite Giovanni Padoan "Vanni" e Mario Blason "Bruno" (vicecommissario politico della Garibaldi Natisone), in cui sostennero che l'esecuzione aveva avuto «pieno consenso della Federazione del partito», accusando i partigiani della Osoppo di essere dei traditori venduti a fascisti e tedeschi, aggiungendo il particolare secondo il quale "Bolla", in punto di morte, avrebbe inneggiato al «fascismo internazionale». I tre comandanti gappisti scrissero degli osovani che «esaminati attentamente uno a uno, abbiamo notato che essi non erano altro che figli di papà, delicati attendisti che se la passavano comodamente in montagna». Nella parte finale della relazione "Marino", "Valerio" e "Marco" invitarono i «comandi superiori» a «estirpare del tutto queste formazioni reazionarie». Alla relazione i tre allegarono un documento indicante ulteriori obiettivi da tenere in considerazione: fra di essi Candido Grassi "Verdi" (definito «pericolosissimo») e don Aldo Moretti "Lino"[62]; l'autenticità di tale documento fu tuttavia contestata nel corso del successivo processo, tanto che in anni più recenti lo stesso "Vanni" affermò di non avere mai visto la relazione, mentre la ricercatrice storica Alessandra Kersevan la ritiene falsa[63].
Le inchieste partigiane
Lo stesso giorno in cui Toffanin inviò la sua relazione, il comando della Osoppo affidò l'incarico di compiere una prima indagine ad Agostino Benetti[64] che, in pochi giorni, appuntò i propri sospetti sui garibaldini. Informati i superiori, questi interessarono il CLN provinciale, che in una riunione del 21 febbraio — in assenza del rappresentante comunista — incaricò un rappresentante del Partito d'Azione e uno della Democrazia Cristiana di svolgere ulteriori accertamenti. Fu avvisato il Comitato Regionale Veneto (CRV), il quale avocò a sé l'inchiesta: il 5 marzo successivo il CLN provinciale sospese quindi la propria indagine. Il CRV istituì una nuova commissione, formata da un rappresentante del Partito d'Azione (Luciano Commessatti "Gigi"), uno della DC e un terzo del PCI. Il 12 marzo Commessatti s'incontrò con i garibaldini Ostelio Modesti "Franco", segretario della federazione del PCI di Udine, e il citato "Ultra", vicesegretario: quest'ultimo affermò che l'azione delle malghe di Topli Uork era stata «un colpo di testa di "Giacca"»[65]. Organizzato un successivo incontro con i capi garibaldini aperto anche ai comandanti osovani, Commessatti si poté incontrare solo con i primi, giacché i dirigenti osovani erano stati tutti arrestati dai tedeschi nel corso di una riunione indetta per organizzare l'incontro con i garibaldini. A seguito di quell'arresto di massa, i partigiani sloveni diffusero un volantino nella bassa friulana, in cui si legge che
L'incontro fra la commissione e i capi garibaldini Lino Zocchi "Ninci" (comandante del gruppo Divisioni Garibaldi del Friuli), Mario Lizzero "Andrea" (commissario politico delle brigate Garibaldi in Friuli), Modesti e Valerio Stella "Ferruccio" (comandante della Brigata Garibaldi Friuli) si svolse in un clima molto teso. La tesi nuovamente propugnata dai garibaldini a Commessatti fu quella del colpo di testa di "Giacca", ma i capi comunisti impedirono alla commissione di interrogare Toffanin, rassicurando che avrebbero provveduto loro alla —«giusta punizione»[65]. La commissione si trovò quindi a un punto morto: mancando la relazione ufficiale della Osoppo a causa dell'arresto dei suoi capi, i garibaldini si rifiutarono di mettere per iscritto le loro informazioni e, a quel punto, l'unico documento in mano ai commissari fu una relazione degli osovani Alfredo Berzanti "Paolo" (in seguito deputato democristiano) ed Eusebio Palumbo "Olmo", ma il membro comunista della commissione si rifiutò di accettarla perché «di parte»[66].
Il 31 marzo 1945 il CLN invitò i comandi osovani e garibaldini a nominare un'altra commissione paritetica d'inchiesta, nella speranza non solo di chiarire l'episodio di Topli Uork, ma anche di conoscere la sorte — ancora ignota — degli altri osovani deportati da "Giacca" e i suoi uomini. Il 3 aprile successivo si ritrovarono "Verdi" e Giovanni Battista Carron "Vico" per la Osoppo insieme a Ostelio Modesti per i garibaldini; quest'ultimo cambiò radicalmente la versione precedentemente sostenuta da Tambosso, affermando che l'attacco alle malghe era stata opera di fascisti camuffati da partigiani, così com'era stato annunciato dalla radio, che tuttavia aveva in quei giorni fatto riferimento a un episodio avvenuto nella zona del Collio, distante da Porzûs[66]. Modesti passò all'attacco, accusando gli osovani di non essersi adoperati con le popolazioni friulane per propagandare la figura di Tito, del quale si aspettava l'entrata da liberatore a Udine[67]. Alla fine della discussione si decise di nominare l'ennesima commissione formata da un osovano, un garibaldino e un rappresentante del CLN come presidente. Per tali incarichi furono designati rispettivamente il citato Berzanti, Valeriano Rossitti "Pietro" e il liberale Manlio Gardi "Bruto". Per vari motivi, tuttavia, quest'ultima commissione non s'insediò mai, e mentre gli osovani chiesero a varie riprese di andare a fondo della questione, i garibaldini misero in campo una serie di atteggiamenti dilatori. La successiva insurrezione di aprile/maggio 1945 fece passare in secondo piano l'indagine.
Durante queste vicende, tuttavia, all'interno delle forze partigiane comuniste sorse una reazione all'operato del gruppo di Toffanin. Mario Lizzero, venuto a sapere dell'eccidio, propose la condanna a morte per Toffanin e i suoi uomini, ma questi in un primo tempo non ricevettero alcuna sanzione, venendo destituiti dalle loro posizioni di comando nei GAP ad aprile del 1945, oltre due mesi dopo l'attacco[68][69]. Secondo la ricostruzione di "Vanni", Lizzero sarebbe stato invece il grande artefice della strategia difensiva del partito comunista, tendente a colpevolizzare il solo Toffanin per impedire che si arrivassero a scoprire i veri mandanti dell'eccidio, e cioè il IX Korpus sloveno che aveva ordinato l'operazione alla federazione del PCI di Udine: fatto arrestare Toffanin il 20 febbraio 1945 e condannatolo alla fucilazione, Lizzero a seguito di un incontro a quattr'occhi inaspettatamente lo liberò, rifiutandosi poi di rivelare il contenuto del loro colloquio. Contestualmente — riferisce "Vanni" — Lizzero sviò le indagini subito ordinate dal Comitato Regionale Veneto, impedendo a Luciano Commessatti "Gigi" di interrogare Toffanin, tanto che, tornato a Padova, "Gigi" denunciò la non collaborazione di Lizzero e di "Ninci"[70]. I dirigenti della federazione del PCI di Udine Modesti e Tambosso sostennero, sia all'epoca che in seguito, che la responsabilità dell'azione fosse da imputarsi interamente a Toffanin, che non avrebbe interpretato correttamente gli ordini.
I processi
Subito dopo la Liberazione (25 aprile 1945) i primi a denunciare data e dinamica dell'eccidio furono i citati Grassi (all'epoca socialista, in seguito deputato socialdemocratico) e Berzanti. Questi accusarono i garibaldini di aver ucciso i propri compagni di lotta «sol perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava»[71]. Il 23 giugno 1945, dopo la scoperta a opera dei parenti dei corpi dei trucidati di Bosco Romagno[72], Grassi e Berzanti presentarono una denuncia al Procuratore del Regno di Udine, a nome del Comando del Gruppo Divisioni "Osoppo Friuli"[73][74]. Nei giorni precedenti i due avevano ripetutamente chiesto a Zocchi e Lizzero di associarsi nella denuncia, ottenendo tuttavia sempre un rifiuto[75]. Passando i mesi senza novità alcuna ed esasperati per l'attesa, i partigiani della Osoppo pubblicarono nel 1947 un numero unico stampato a Udine, riproducendo tutti i documenti accusatori «contro tutte le omertà che vietano il libero corso della giustizia»[76].
Il processo di primo grado
Vorlage:Doppia immagine Il processo fu istituito in prima battuta dalla procura di Udine, che tuttavia poco dopo trasmise gli incartamenti al tribunale militare di Verona. Da questo le carte passarono alla procura di Venezia, che concluse il 13 dicembre 1948 l'istruttoria penale con rinvio a giudizio di 45 imputati davanti alla corte d'assise di Udine per rispondere dei delitti di omicidio aggravato continuato e saccheggio[77]. Per legittima suspicione la Corte di Cassazione trasferì il procedimento a Brescia, dove il dibattimento ebbe inizio il 9 gennaio 1950. Il 20 gennaio la corte d'assise di Brescia, con ordinanza propria, rinviò la causa a nuovo ruolo per permettere al pubblico ministero di contestare altri reati agli imputati. Il 2 maggio 1950 la madre di Franco Celledoni, una vittima osovana dell'eccidio, denunciò al procuratore della Repubblica di Udine i citati Tambosso, Stella e Padoan quali presunti mandanti della strage, nonché Enzo Iurich "Ape" quale esecutore materiale dell'uccisione di Angelo Augelli "Massimo"[78]. L'istruttoria nascente da tale nuova denuncia fu unificata con la precedente, e l'8 febbraio 1951 il giudice istruttore di Venezia ordinò un nuovo rinvio a giudizio avanti la corte d'assise di Brescia degli imputati delle due istruttorie, per rispondere dei reati precedentemente contestati, cui si aggiunsero quelli di sequestro di persona, plagio e attentato all'integrità territoriale dello Stato. Il processo fu trasferito una seconda volta per legittima suspicione avanti la corte d'assise di Lucca, dove nel settembre 1951 ricominciò la fase dibattimentale[79][80]. Il 26 settembre 1951 Pier Paolo Pasolini testimoniò in aula in quanto parte lesa[81].
Alcuni dei maggiori imputati erano da tempo fuggiti in Jugoslavia o in Cecoslovacchia: su 51 imputati risultavano latitanti Mario Toffanin "Giacca", Felice Angelini "Fuga", Bruno Grion "Falchetto", Vittorio Iuri o Juri "Marco", Leonida Mazzaroli "Silvestro", Fortunato Pagnutti "Dinamite", Bruno Pizzo "Cunine", Antonio Mondini "Boris" e Adriano Cernotto "Ciclone"[82]; inoltre Aldo Plaino risultava residente nella Zona B del Territorio Libero di Trieste ad amministrazione militare jugoslava[83], mentre Giovanni Padoan viveva a Praga lavorando per le trasmissioni in lingua italiana della radio nazionale, frequentanto nel contempo la scuola del PCI di Dobřichovice assieme a vari altri partigiani italiani ivi rifugiati in quanto accusati di atti di violenza nel dopoguerra[84].
Il 6 aprile 1952 vi fu la prima sentenza: Mario Toffanin "Giacca", Vittorio Juri "Marco" (uno dei due luogotenenti di "Giacca", assieme a Plaino) e Alfio Tambosso "Ultra", vennero condannati all'ergastolo; Aldo Plaino "Valerio" e Ostelio Modesti "Franco" a trent'anni di reclusione ciascuno. Nel complesso, vennero irrogati tre ergastoli e 659 anni di reclusione a quarantuno imputati[85], ridotti però a 289 per l'applicazione di una serie di condoni previsti da norme entrate in vigore negli anni: Toffanin e Juri si videro quindi ridotta la pena a trent'anni, Tambosso a ventinove, Modesti a nove e Plaino a dieci. Dieci imputati vennero assolti: fra di essi Lino Zocchi "Ninci", Mario Fantini "Sasso" (già comandante della Divisione Garibaldi Natisone), Valerio Stella "Ferruccio" (già comandante della Brigata Garibaldi Friuli) e Giovanni Padoan "Vanni". Tutti gli imputati vennero assolti dal reato di tradimento per attentato all'integrità dello Stato[86][87]. Alla lettura della sentenza, Modesti si rivolse ai giudici con queste parole: "Signori, la vostra sentenza ha avuto il potere di serrare dinanzi a noi le sbarre di questa gabbia, ma noi siamo più forti di voi!", al che gli altri imputati gridarono: "Viva la Resistenza!"[86]. L'8 aprile, l'Unità pubblicò in prima pagina un telegramma inviato da Togliatti a Modesti: "Giunga a te e a tutti i compagni la solidarietà affettuosa del partito, che dalle ingiuste condanne è uscito più grande e più forte per il consenso dei cittadini animati da spirito di democrazia e di amor di patria"[88].
L'appello
Il processo in secondo grado si svolse presso la corte d'assise d'appello di Firenze, cui si erano appellate le parti per motivi opposti: la pubblica accusa per un inasprimento generale delle pene e per il riconoscimento del reato di tradimento, le difese per chiedere l'assoluzione piena.
Riguardo al citato ordine di Alfio Tambosso "Ultra", la difesa affermò che esso si riferiva invece al concentramento di partigiani per l'assalto alle carceri di Udine, che ebbe luogo lo stesso giorno dell'eccidio[89].
La sentenza del 30 aprile 1954 riconobbe che "la strage (...) fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava", ma assolse gli imputati per il reato di tradimento poiché "l'azione degli imputati non è stata determinante perché l'occupazione jugoslava sarebbe avvenuta ugualmente"[90]. Vennero confermate le pene precedentemente inflitte dalla corte d'assise di Lucca per i reati principali ed inasprite le pene per i reati di sequestro di persona e saccheggio. Giovanni Padoan "Vanni" – precedentemente assolto per insufficienza di prove – fu condannato alla pena di trent'anni di reclusione, ridotti a due per effetto delle varie amnistie e condoni[91]. A causa di tali provvedimenti legislativi, nessuno dei condannati presenti al processo finì in prigione, mentre una parte di essi continuava la latitanza all'estero[92]. Tre giorni dopo, in seconda pagina su l'Unità apparve un articolo dell'inviato speciale Ferdinando Mautino "Carlino", già capo di stato maggiore delle Divisioni Garibaldi del Friuli e fra i fautori della sottomissione dei garibaldini al IX Korpus sloveno[93], che stigmatizzò "la speculazione democristiana sui fatti di Porzûs, fra le tante porcherie commesse da questi nostri dirigenti e nemmeno fra le più rimarchevoli"[94]. Il procuratore generale di Firenze impugnò la sentenza presso la Cassazione, chiedendo l'annullamento dell'assoluzione per il reato di tradimento per aver attentato all'integrità dello stato nei confronti di Juri, Modesti, Padoan, Paino, Tambosso, Toffanin, Zocchi e Fantini. Nei confronti degli ultimi due, venne chiesto anche l'annullamento della sentenza di assoluzione per insufficienza di prove per il reato di omicidio, sequestro di persona e rapina[90]. Allo stesso modo, impugnarono la sentenza gli imputati per chiedere nuovamente l'assoluzione.
Quadro riassuntivo delle condanne in appello
Di seguito il quadro riassuntivo delle condanne e delle assoluzioni comminate dalla corte d'assise d'appello di Firenze, con la propria sentenza del 30 aprile 1954[95]. Gli imputati erano accusati dei seguenti reati:
- Omicidio aggravato e continuato
- Rapina aggravata
- Sequestro di persona
- Tradimento (accusa che riguardava Toffanin, Iuri, Palino, Modesti, Tambosso, Zocchi, Padoan e Fantin)[96]
La corte d'assise d'appello assolse gli imputati dal reato di tradimento, con la formula "perché il fatto non costituisce reato": cassata l'assoluzione dalla Suprema Corte di Cassazione, il nuovo processo per lo stesso reato non venne celebrato per sopraggiunta amnistia[97].
- Imputati condannati
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- Imputati assolti per insufficienza di prove
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- Imputati assolti per non aver commesso i fatti in ordine ad alcuni omicidi e per insufficienza di prove per altri omicidi e per le restanti accuse
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- Imputati assolti per non aver commesso i fatti
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Il processo in Cassazione
Il 18 giugno 1957 iniziò la discussione dell'impugnazione della sentenza di secondo grado presso la Corte di Cassazione: il Procuratore Generale – in linea con le richieste della procura di Firenze – chiese il rigetto del ricorso degli imputati e un nuovo processo per il reato di tradimento[100]. Il giorno successivo la Corte accolse in toto le tesi dell'accusa, confermando le sentenze per gli omicidi e i reati minori connessi – che quindi divennero definitive – ma stabilendo l'istruzione di un nuovo processo presso la corte d'assise d'appello di Perugia per il solo reato di tradimento per attentato contro l'integrità dello stato per tutti gli imputati più importanti, nonché per il reato di omicidio, rapina e sequestro di persona per Zocchi e Fantini[101].
Il nuovo processo a Perugia
Fra la sentenza della Cassazione e l'apertura del procedimento a Perugia, venne emesso un ulteriore provvedimento di amnistia e indulto (DPR 11 luglio 1959 n. 460), che coprì anche i reati di natura politica, intendendo con ciò anche ogni delitto comune determinato – in tutto o in parte – da motivi politici[102]. Pervenuti quindi gli atti nel capoluogo umbro, il procuratore generale di Perugia chiuse la fase istruttoria rilevando l'estinzione del reato per sopraggiunta amnistia per tutti gli imputati (11 marzo 1960). Nessuno di essi esercitò – come avrebbe potuto ai sensi della citata legge – il diritto di rinuncia al beneficio al fine di farsi giudicare nel processo[103]. Questo fu l'ultimo della lunga catena di atti processuali relativi alle vicende legate alla strage di Porzûs.
La sorte dei condannati e la medaglia d'oro a De Gregori
Nessuno dei condannati scontò la pena in prigione, salvo il periodo della detenzione in attesa della conclusione del processo, che in alcuni casi si protrasse per qualche anno. Mario Toffanin – condannato in contumacia – dopo l'ultima amnistia del 1973 non tornerà in Italia, dovendo ancora scontare altri trent'anni di prigione in base a quattro sentenze delle Corti d'assise di Trieste e Udine per furti, rapine, estorsioni e omicidi – anche ai danni di una compagna di lotta[104] – commessi fra il 1940 e il 1946 e che non erano stati amnistiati, ma non vi tornerà neppure nel luglio del 1978, quando sarà graziato dal Presidente Sandro Pertini da poco insediatosi al Quirinale. Morirà a Sesana (Slovenia) il 22 gennaio 1999. Toffanin, negli anni successivi alla fuga, si dichiarerà sempre certo del tradimento della Osoppo: ribadirà più volte la correttezza delle sue azioni e continuerà ad accusare gli uomini della Osoppo, tra le altre cose, di aver inglobato al proprio interno molti uomini appartenenti a gruppi fascisti, di aver collaborato attivamente con gli uomini della RSI e di aver spesso trattenuto le forniture di armi e attrezzature inglesi che secondo gli accordi spettavano ai garibaldini[105]
A De Gregori nel 1945 fu riconosciuta la medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con una motivazione contenente la seguente frase:
che non facendo alcun riferimento all'eccidio e ai suoi esecutori venne molti anni dopo considerata "ineffabile", "reticente"[106] o indice di "contorsionismo"[107]. All'interno del sito ufficiale dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) si afferma che De Gregori sarebbe morto "in uno scontro tra partigiani"[108].
I mandanti e le motivazioni dell'eccidio
Nei decenni, varie ipotesi sono state avanzate sui mandanti dell'eccidio e sulle sue motivazioni, spesso in corrispondenza con la scoperta di nuovi documenti o con l'apertura di nuovi filoni giudiziari. Tali ipotesi arrivano a divergere radicalmente, proponendo letture totalmente antitetiche. Alcuni fra gli stessi protagonisti dei fatti, col passare del tempo hanno modificato – anche in maniera notevole – le proprie precedenti dichiarazioni, rendendo il quadro ancor più difficile da interpretare.
La versione di Toffanin
Mario Toffanin "Giacca" – il principale responsabile materiale dell'eccidio di Porzûs – rilasciò una serie di interviste negli anni novanta, nelle quali ribadì sempre la stessa versione: la Osoppo era responsabile di aver intrattenuto rapporti con la Decima Mas e con i tedeschi e stava organizzando l'eliminazione del comando GAP; l'organizzazione della missione alle malghe di Topli Uork era stata solo sua; l'eccidio fu un legittimo atto di guerra, giustificato dal tradimento degli osovani e causato dall'impeto rabbioso derivante dall'aver visto la spia Elda Turchetti presso il comando partigiano: un'azione che Toffanin avrebbe sempre rifatto tale e quale, senza alcun ripensamento; il processo fu una manovra, ordita dai democristiani[109][110]. In tali interviste Toffanin cambiò completamente la propria versione rispetto a quanto aveva dichiarato nella relazione scritta a ridosso del fatto: le strutture del PCI non risultavano più coinvolte in nessuna fase dell'evento, venendo disconosciuta l'esistenza di un qualsiasi ordine superiore relativamente alla missione e ai suoi scopi. Interrogato sulla discrepanza fra le due versioni, Toffanin affermò che la relazione del 1945 era in realtà un falso[109], ma nel 1975 lo stesso Toffanin aveva rilasciato la seguente dichiarazione autografa per il libro di Cesselli:
La tesi dei mandanti sloveni
L'ipotesi che nella storiografia italiana ha via via preso più vigore, anche sulla scorta delle risultanze processuali – che hanno espressamente indicato che il passaggio dei garibaldini della Natisone alle dipendenze del IX Korpus, la propaganda filojugoslava svolta nei confronti di formazioni partigiane e l'eccidio di Porzûs facevano parte di un medesimo disegno criminoso avente come scopo ultimo la cessione di parti dello stato italiano alla Jugoslavia[96] – e infine dell'apertura di una serie di archivi prima inaccessibili, attribuisce la motivazione dell'eccidio ad una sorta di "pulizia preventiva" contro gli oppositori – reali o potenziali – del regime comunista jugoslavo che secondo i disegni espansionistici di Tito avrebbe dovuto annettere anche i territori friulani e giuliani prossimi all'attuale confine, comprendenti il Goriziano, la Slavia veneta e la striscia costiera che da Trieste va fino a Monfalcone. La stessa dinamica avrebbe portato anche ai massacri delle foibe, nelle quali furono eliminati – fra l'altro – centinaia di italiani considerati contrari all'annessione jugoslava. La tesi secondo la quale l'eccidio di Porzûs sia imputabile agli sloveni trovò alcune indirette conferme documentali: l'eccidio venne anche preannunciato in un rapporto al Foreign Office pervenuto pochi giorni prima della strage: in esso un ufficiale di collegamento britannico al seguito dei partigiani sloveni operanti nell'Italia nordorientale aveva reso noto che l'unità cui era aggregato aveva catturato alcuni partigiani della Osoppo, e che alle sue rimostranze il comandante sloveno aveva risposto di avere agito in base ad ordini superiori. L'autore del rapporto aveva espresso quindi l'opinione che gli sloveni avevano l'intenzione di attaccare il comando generale delle brigate Osoppo[111].
Fra gli autori che hanno in vario modo contribuito a questa ricostruzione dei fatti o l'hanno fatta propria almeno in senso generale, sono da ricordare Marina Cattaruzza[112], Tommaso Piffer, Elena Aga Rossi[113], Raoul Pupo[114], Sergio Gervasutti[115] ed altri.
Il 23 agosto 2001 l'ex commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone Giovanni Padoan "Vanni" – condannato in appello e in cassazione – confermerà pienamente questa ricostruzione durante un tentativo di riconciliazione fra garibaldini e osovani che vide il suo abbraccio alle malghe di Topli Uork col sacerdote ed ex partigiano osovano don Redento Bello "Candido"[116]. "Vanni" lesse una dichiarazione, che ebbe il valore di un'assunzione piena di responsabilità per sé e il suo reparto, indicandone espressamente mandanti ed esecutori:
Le ricostruzioni di Aldo Moretti
Monsignor Aldo Moretti "Lino" – Medaglia d'oro al valor militare e fra i fondatori delle Divisioni Osoppo, affermò varie volte che l'eccidio di Porzûs era stato compiuto:
In un'intervista a Famiglia Cristiana del 1997, Moretti espresse anche l'opinione secondo la quale gli Alleati, pensando già al dopoguerra e temendo la collaborazione tra i partigiani cattolici e partigiani comunisti, avessero cercato di dividere questo fronte fino a sacrificare la Osoppo per mano delle formazioni comuniste oramai al servizio degli jugoslavi, al fine di screditarle:
Le stesse denunce di Radio Londra contro Elda Turchetti sarebbero rientrate in questa strategia. Moretti sostenne inoltre che gli attriti fra i garibaldini e gli osovani del'autunno del 1944 avevano dato il via a voci di collaborazione tra il gruppo Osoppo e le forze nazifasciste, voci peraltro recisamente negate:
In questa atmosfera di sospetto due proposte di alleanza contro le formazioni comuniste arrivarono alla Osoppo da parte del federale fascista di Udine, per conto del tenente colonnello delle SS von Hallesleben, ma vennero respinte subito da Moretti con due lettere, datate 28 dicembre 1944 e 10 gennaio 1945, fatte pervenire al federale di Udine tramite l'arcivescovo Giuseppe Nogara[105]. Le voci tuttavia divennero insistenti quando Cino Boccazzi, partigiano della Osoppo preso prigioniero dalla Xª Flottiglia MAS, venne effettivamente mandato a Udine (secondo la ricostruzione data da Moretti – ribadita in sede processuale dallo stesso Boccazzi – sotto la minaccia di veder uccisa la propria moglie e i propri figli se si fosse rifiutato) per cercare un contatto per una possibile collaborazione nella difesa del confine orientale. L'ufficiale britannico Thomas Rowort "Nicholson" – presente in incognito a Udine e a cui era stata riferita la proposta – attese prima di consultarsi con il comando a Londra, che rispose poi negativamente all'offerta così come risposero negativamente gli osovani. L'attesa rese ancora più forti le voci di una possibile trattativa tra la Osoppo e la Decima Mas[117]. Le accuse di collaborazionismo con i fascisti e con i tedeschi che fecero parte dell'ampia strategia messa in campo per screditare la Osoppo, continuarono anche dopo la fine della guerra, venendo riprese a partire dall'inizio degli anni duemila da alcuni autori di estrema sinistra.
L'ipotesi di Moretti del coinvolgimento dei servizi segreti inglesi non è stata in seguito approfondita dalla storiografia internazionale, se non da alcuni autori in termini più ampi, laddove le attività di detti servizi segreti vengono inserite in un quadro di doppi e tripli giochi comprendente svariati altri attori.
La tesi filojugoslava
La storiografia jugoslava non produsse alcuno studio sull'eccidio di Porzûs. Così com'era stata reclamata alla fine della prima guerra mondiale[118], la Slavia veneta venne richiesta ufficialmente dagli jugoslavi anche al termine della seconda guerra mondiale[119]: era comune ritenere – come affermò nel 1995 dopo il crollo della Federativa il primo ministro sloveno Janez Janša nel corso della prima celebrazione della Festa del ritorno del Litorale Sloveno alla madrepatria – che se "il regime jugoslavo non avesse trascinato il Paese al di là della cortina di ferro, avremmo potuto contare anche su Trieste, Gorizia e la Slavia veneta[120]".
In anni più recenti, la tematica dal punto di vista filojugoslavo è stata brevemente ripresa – fra le altre – dallo storico triestino Jože Pirjevec, nell'ambito in un saggio espressamente dedicato ai massacri delle foibe che ha creato una lunga serie di polemiche[121]. Per Pirjevec, nelle speranze dei comunisti sloveni e italiani l'impeto rivoluzionario comune avrebbe dovuto espandersi in tutto il nord Italia, vagheggiando addirittura che tutte le Divisioni Garibaldi "nell'Italia propriamente detta" si assoggettassero al Fronte di liberazione sloveno[122]. La Osoppo, costituendo un movimento resistenziale "bianco", per opporsi a queste mire avrebbe intrattenuto rapporti diplomatici con la Wehrmacht, con i collaborazionisti cosacchi e con la Decima Mas. Pirjevec per primo riportò la notizia secondo la quale cinque partigiani garibaldini sarebbero stati uccisi da membri della Osoppo quando fu diffusa la notizia della loro adesione al IX Korpus sloveno, ma da una verifica successiva risultò che il documento contenuto in uno degli archivi di stato russi citato dallo storico triestino a sostegno della propria affermazione in realtà non parla di "conflitti fra partigiani comunisti e partigiani democratici sul confine orientale italiano nel 1945"[123]. Sempre secondo Pirjevec, in Friuli si sarebbero manifestate delle "tendenze separatistiche (...), dove alcuni circoli pensavano di staccarsi dall'Italia e aderire come entità autonoma alla Jugoslavia". In questo quadro sarebbe avvenuto il "fatto tragico" dell'attacco gappista di Porzûs, del quale il IX Korpus sarebbe stato completamente ignaro, ma visto il successivo asilo prestato in seguito a Toffanin dagli sloveni, sarebbero sorte delle "voci tendenziose (...) che la strage fosse stata voluta da loro", il che avrebbe contribuito a far assumere a questo fatto "marginale pur nella sua tragicità" delle "dimensioni sproporzionate"[124].
Altre ipotesi
In un libro apparso nel 1995, la ricercatrice Alessandra Kersevan sottopose ad analisi una parte dei documenti e delle testimonianze all'epoca apparsi, il tutto presentato in maniera discorsiva come se si trattasse di un lungo colloquio fra due ricercatori[125]. Alla luce di una serie di fatti contemporanei e successivi all'eccidio, Kersevan arrivò ad ipotizzare che nella vicenda di Porzûs vi fosse stato un massiccio intervento manipolatorio dei servizi segreti militari angloamericani in combutta con quelli italiani, in un quadro di doppi e tripli giochi che coinvolsero il PCI, l'ignaro Toffanin – che quindi sarebbe stato strumento inconsapevole dell'imperialismo americano – nonché la Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Nelle estreme terre nordorientali italiane si sarebbe quindi giocato fin dal 1944-1945 un prodromo della guerra fredda postbellica, con fortissime infiltrazioni fasciste repubblicane all'interno del movimento partigiano friulano, al fine ultimo di impedire il saldarsi dei movimenti comunisti sloveni e italiani in un moto rivoluzionario esteso al Nord Italia, gettando il discredito sui partigiani jugoslavi anche con altre contestuali campagne di disinformazione e manipolazione, come quella dei massacri delle foibe. In questo quadro, il IX Korpus sloveno sarebbe quindi stato contemporaneamente spettatore e vittima, mentre i comandi della Osoppo sarebbero stati in realtà conniventi con i nazisti e la Decima Mas in funzione anticomunista e antislava, con la collaborazione occulta ma attiva delle potenze occidentali e la benedizione della chiesa cattolica locale, coinvolta fin nelle sue più alte gerarchie.
Questa gigantesca operazione sarebbe poi continuata col processo, considerato dalla Kersevan una montatura basata in gran parte su testimonianze e documenti falsi o manipolati, compresi fra gli altri non solo il rapporto sui fatti stilato da "Giacca" e i suoi, ma anche la famosa lettera di accusa agli sloveni e ai garibaldini che Guido Pasolini spedì al fratello Pierpaolo a novembre del 1944 e che venne poi trasmessa da quest'ultimo alle autorità inquirenti[126]. Il tutto non sarebbe stato che il prodromo delle attività di Gladio, con varie connessioni con la mafia, la P2 e lo stragismo di stato. A partire dagli anni novanta a rafforzare tutto ciò – sempre secondo Kersevan – si sarebbe saldata un'altra manovra tutta politica ad opera degli eredi del PCI (PDS, poi DS) e dei fascisti (AN): una "convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Non è un caso che il film [Porzûs di Renzo Martinelli] sia stato finanziato dall'allora governo di centro-sinistra, cioè dal ministro della cultura Walter Veltroni, ma apprezzato anche a destra"[126]. Secondo la Kersevan, con la fuga in Jugoslavia e in altri paesi socialisti degli imputati del processo condannati per vari reati, sarebbe stata costretta ad andarsene dal Friuli "la meglio gioventù"[126].
Una simile linea interpretativa è stata proposta anche dallo storico triestino dell'Università del Litorale di Capodistria Gorazd Bajc[127]: eccidio di Porzûs e massacri delle foibe sarebbero delle enormi montature propagandistiche montate ad arte o "incoraggiate" dai servizi segreti statunitensi, per spezzare l'intesa fra comunisti italiani e sloveni. Questa fu anche un'ipotesi avanzata nel 1997 dal giudice istruttore Carlo Mastelloni nell'ambito della sua inchiesta su Argo 16, peraltro conclusasi senza alcuna conferma giudiziaria e senza alcuna condanna[128]. In tale complesso contesto denso di doppi e tripli giochi, anche la stessa figura di Mario Toffanin sarebbe da riconsiderare: alcuni lo vedrebbero addirittura come agente dei tedeschi[129].
L'eccidio e le polemiche politiche e storiografiche
Le responsabilità politiche e materiali dell'eccidio di Porzûs sono state al centro di un acceso dibattito politico e storiografico[130], intersecatosi fino agli anni sessanta con i processi ai quali furono sottoposti esecutori e presunti mandanti della strage. Gli eventi legati a Porzûs hanno acquisito un valore paradigmatico: per gli uni del tentativo di delegittimare la Resistenza proiettando sull'intero movimento partigiano un episodio ritenuto marginale, per gli altri della natura totalitaria e antidemocratica del Partito Comunista Italiano e del carattere sostanzialmente antinazionale della sua politica[131].
Dal processo agli anni sessanta
Durante il lungo periodo in cui si susseguirono le vicende processuali, il PCI organizzò una campagna di stampa contro i reparti partigiani della Osoppo: in vari articoli de l'Unità vennero rimarcate tutte le accuse di connivenza con fascisti e nazisti che erano state avanzate all'epoca dei fatti. Allo stesso tempo, si stigmatizzò ancora una volta la figura della Turchetti, nuovamente descritta come "spia dei tedeschi, abbondantemente pagata"[132]. Fu respinta con sdegno l'infamante accusa di tradimento che aveva coinvolto in pratica tutti i vertici politico-militari del partito operanti in Friuli-Venezia Giulia nell'ultimo periodo bellico. Il PCI considerò tutto il processo una volgare montatura costituita da un castello di menzogne, da inserirsi nell'ampio filone processuale di natura reazionaria e neofascista di "messa sotto accusa" della Resistenza, operata dalle classi borghesi e capitaliste con ampi appoggi politici nel governo italiano, e segnatamente nella Democrazia Cristiana[133]. Fecero parte dei collegi di difesa e di parte civile alcuni fra i più importanti uomini politici del tempo: nel collegio di difesa degli accusati vi furono – fra gli altri – gli avvocati e parlamentari comunisti Umberto Terracini – già presidente dell'Assemblea Costituente[134] – Fausto Gullo – già Ministro di Grazia e Giustizia – e Aldo Buzzelli, nonché i parlamentari socialisti Giuseppe Ferrandi e Leonetto Amadei, in anni successivi Presidente della Corte Costituzionale, mentre fra gli avvocati della parte civile vi furono i senatori Luigi Gasparotto – più volte ministro nei governi pre e postbellici – e il democristiano Giovanni Carignani – già presidente del CLN di Lucca –, oltre al deputato Valdo Fusi, già membro democristiano del CLN del Piemonte[135]. Il 25 aprile 1950 – in occasione del quinto anniversario della liberazione – una delegazione di cinque parlamentari comunisti capeggiata da Luigi Longo e Gian Carlo Pajetta fece visita ai detenuti accusati dell'eccidio, arrestati poco prima su ordine degli inquirenti[136]. Alle due sentenze di Lucca e Firenze, la stampa comunista rimarcò il fatto che era stato escluso il reato di tradimento, scandalizzandosi per la riapertura del caso a seguito della sentenza della Cassazione. Della chiusura della vicenda per intervenuta amnistia non venne data notizia. Per quindici anni sulla vicenda cadde il silenzio, rotto solo dalle annuali rievocazioni a cura dei reduci della Osoppo.
Nel 1964 Roberto Battaglia – storico iscritto al PCI, già comandante partigiano – trattò rapidamente dell'eccidio nella sua Storia della Resistenza italiana. Egli affermò che l'eccidio fu dovuto all'odio politico divampato dall'anticomunismo di "Bolla" che si sarebbe scontrato con "l'animosa intolleranza di fanatici avversari", così come la sottomissione della Garibaldi Natisone al IX Korpus sarebbe stata "impost[a] dalle circostanze, dopo che il terribile rastrellamento di novembre le [aveva] lasciato solo questa via di scampo"[137].
La tesi di Battaglia che rovescia sulla Osoppo gran parte della responsabilità dell'eccidio fu fatta in qualche modo propria da Giorgio Bocca, che due anni dopo descrisse "Bolla" come "attendista malato di grafomania" e reo di aver denunciato le "mene slavo-comuniste"[138].
Gli anni settanta
Nel 1975 uscì il primo studio specificamente dedicato all'eccidio, Porzûs, due volti della Resistenza di Marco Cesselli, ricercatore dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, edito da una piccola casa editrice dell'area della sinistra e pubblicizzato anche nelle pagine de l'Unità[139], nel quale si espressero per la prima volta – sia pure con qualche cautela – delle aperture verso una revisione della precedente interpretazione dell'eccidio e si misero in luce con chiarezza le responsabilità politiche dei massimi dirigenti del PCI friulano.
Paolo Spriano nell'ultimo volume della sua molto ampia Storia del PCI – uscita lo stesso anno dello studio di Cesselli – non parlò di Porzûs, pur riportando in estratto alcuni documenti che ne furono il prodromo[140].
Gli anni ottanta
Dopo il libro di Cesselli, sulla vicenda di Porzûs cadde nuovamente l'oblio: nel corso degli anni ottanta la questione non suscitò quasi nessun interesse da parte degli storici accademici: all'inizio del decennio "il solo nominarla veniva considerato come un tentativo di screditare il movimento partigiano"[141].
Sulla scorta dell'impostazione di Battaglia, alcuni storici misero in quegli anni sullo stesso piano l'anticomunismo della Osoppo e la subordinazione dei comunisti alle tesi jugoslave, riconducendo quindi l'eccidio allo scontro tra due opposte forme di estremismo, esecrabili entrambe: è questo per esempio il caso di un saggio di Giampaolo Gallo, edito dall'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione nel 1988[142]. Un altro gruppo di autori concentrò la propria attenzione sulle responsabilità degli osovani in relazione ai suoi contatti con la Decima Mas, che avrebbe quindi – se non giustificato – quanto meno reso comprensibile la reazione di Toffanin e i suoi: su questo aspetto ha insistito per esempio Pierluigi Pallante (1980)[143].
Le polemiche degli anni novanta
A maggio del 1990, per la prima volta due esponenti locali del PCI salirono alle malghe di Topli Uork per rendere omaggio ai partigiani della Osoppo: a quell'epoca la tesi espressa fu quella del "tragico errore" nel quale erano caduti i partigiani comunisti[144]. Si elevarono varie proteste nel partito, ritenendo quella visita un grave passo falso, e fra i reduci partigiani comunisti e quelli della Osoppo si aprì nuovamente un'aspra polemica, con accuse e controaccuse. Intervenne su l'Unità come vicepresidente dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione lo stesso Mario Lizzero "Andrea", che come commissario politico delle Brigate Garibaldi in Friuli già a ridosso dell'eccidio aveva chiesto la condanna a morte per Toffanin e i suoi, ribadendo il suo punto di vista: "Dopo tanti anni si dice parli chi sa, si dica quel che c'è da dire[145], come se non si sapesse che sui fatti di Porzûs ci sono stati tre processi (...). [Si è trattato] di un orrendo crimine senza alcuna possibile giustificazione"[146].
Nel 1991 Claudio Pavone pubblicò Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza: un ampio saggio che in pochi anni s'impose nel mondo storiografico per la sua importanza. Pavone dedicò parecchie pagine all'uso della violenza nel periodo resistenziale, descrivendo rapidamente l'eccidio di Porzûs senza commenti in una nota a pié di pagina, riferita ad un periodo in cui si parla dello sfoggio di fazzoletti e stelle rosse da parte di Toffanin[147].
In un libro autobiografico apparso postumo nel 1995[148], Lizzero tornerà ancora una volta sulla questione:
Porzûs e Gladio
All'epoca della pubblicazione del libro di Lizzero, la polemica sull'eccidio di Porzûs e più generalmente sul ruolo delle Brigate Osoppo era già nuovamente esplosa due volte: una prima a partire dal 1990, a causa della rivelazione pubblica dell'esistenza di Gladio, un'organizzazione paramilitare segreta sorta in ambito NATO per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai paesi dell'Europa occidentale, alla quale aderì un numero tuttora imprecisato – probabilmente dell'ordine di alcune centinaia – di ex partigiani della Osoppo[149]. La polemica raggiunse il suo acme quando l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel corso di una visita in Friuli fra il 7 e il 9 febbraio del 1992 incontrò pubblicamente un gruppo di appartenenti a "Gladio", accusando i partigiani comunisti di aver combattuto anche per l'instaurazione di una dittatura, contro gli interessi nazionali dell'Italia. Riguardo all'eccidio, Cossiga dichiarò:
Negli stessi giorni Cossiga annullò una visita ufficiale a Porzûs, dichiarando di voler evitare accuse da parte del PDS, erede del PCI, di strumentalizzazione dell'eccidio e di ingerenze nella campagna elettorale in corso per le vicine elezioni politiche[150]. La rinuncia alla visita istituzionale suscitò il malcontento dell'associazione dei reduci della Osoppo, la cui presidente Paola Del Din, oltre a criticare la decisione del capo dello Stato, accusò «gli ex comunisti» di aver interferito per impedire la commemorazione ufficiale[151]. Il 16 febbraio, Cossiga si recò infine a Porzûs ma in veste personale, risultando così il primo Presidente della Repubblica Italiana ad aver visitato – sia pur privatamente – le malghe di Topli Uork[152].
Le polemiche successive
La seconda volta in cui si assistette ad un nuovo rinfocolarsi di polemiche sull'eccidio di Porzûs si ebbe nell'ambito di un più ampio dibattito sulla revisione storiografica degli anni del fascismo e della Resistenza, notevolmente aumentato nel momento in cui il Movimento Sociale Italiano, nato esplicitamente come erede politico del fascismo, andò al governo in Italia nel 1994. Il tema principale del dibattito rimase lo stesso degli anni cinquanta: i mandanti dell'eccidio e il ruolo del PCI, visto però nell'ottica più ampia dei massacri delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata successivo alla seconda guerra mondiale e della perdita di gran parte della Venezia Giulia a seguito del Trattato di pace del 1947[153]. Il rinnovato interesse per queste tematiche – alcune delle quali precedentemente quasi mai trattate dalla storiografia accademica – si accompagnò a varie polemiche storico-politiche, riprese e ancor più ingigantite da una serie di articoli di stampa. Vennero pubblicati diversi saggi, che a loro volta causarono ulteriori polemiche, anche a causa della nascita e dello sviluppo di svariate ipotesi – le più diverse – sui mandanti effettivi della spedizione gappista.
Il film sull'eccidio (1997)
La notizia che alla 54ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia sarebbe stato presentato un film sull'eccidio – Porzûs, di Renzo Martinelli – causò ulteriori polemiche. L'allora ministro dei Beni culturali Walter Veltroni affermò di aver ricevuto delle pressioni per bloccarne l'uscita o perlomeno la partecipazione alla Mostra del Cinema[154]. Le polemiche si trasformarono in critiche in seguito alla visione del film, da alcuni ritenuto "una spettacolarizzazione urlata, qua e là addirittura volgare", di bassa obiettività storica[155]. Il più importante quotidiano sloveno – Delo – accusò gli "ex comunisti in Italia" (PDS) di utilizzare un film sul "più celebre falso storico organizzato dai servizi segreti italiani" per condurre una "guerra di propaganda" contro Slovenia e Croazia al fine di porre "i due paesi sotto l'influenza dell'Italia"[156].
Il messaggio di Violante (1998)
Il primo ex iscritto al PCI con alti incarichi istituzionali ad inviare un messaggio augurale in occasione di una delle annuali celebrazioni di ricordo dell'eccidio di Porzûs fu l'allora presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante. Il 7 febbraio 1998 egli scrisse al sindaco di Faedis, stigmatizzando l'eccidio come "episodio di grave irresponsabilità militare e politica", pur non potendo esso esser "confuso con la storia dell'intera Resistenza". Secondo Violante, la memoria dell'eccidio "non deve essere velata da alcuna coltre sulle responsabilità e sulle verità"[157]. L'intervento di Violante si situò all'interno di un suo ampio e variegato percorso di rilettura delle vicende del periodo resistenziale[158], dei massacri delle foibe e dell'approccio che il PCI ebbe nei confronti di questi eventi[159], che all'epoca non mancò di creare vaste polemiche politico-giornalistiche[160].
Gli anni duemila
Gli anni duemila videro due tentativi di riconciliazione: il primo fu il già citato incontro fra "Vanni" e il sacerdote osovano don Redento Bello "Candido" (23 agosto 2001)[116], il secondo – sempre organizzato da "Vanni" e "Candido" – coinvolse anche i vertici dell'Associazione Partigiani Osoppo ed una serie di politici locali e nazionali (9 febbraio 2003)[161], ma i rapporti fra reduci osovani e garibaldini non si rasserenarono completamente.
Ormai sdoganato come argomento di studio, l'eccidio di Porzûs non ha purtuttavia mancato anche in questo decennio d'essere affrontato in modo assai difforme anche all'interno delle stesse opere storiografiche, riproponendo di quando in quando alcuni tipici approcci degli anni precedenti: è il caso per esempio del Dizionario della Resistenza curato da Enzo Collotti, Frediano Sessi e Renato Sandri, all'interno del quale – a fronte di un esaustivo lemma sull'eccidio curato da Galliano Fogar – si può leggere la voce sulla Osoppo curata da Marco Puppini, secondo il quale il 7 febbraio del 1945 "l'intero comando della I brigata Osoppo è arrestato da uomini dei GAP a Porzûs", senza indicarne poi la sorte[162].
Alberto Buvoli, direttore dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, nell'introduzione ad un'ampia raccolta di documenti commentati sulle formazioni Osoppo apparsa nel 2003, riprese invece il tema delle presunte responsabilità degli osovani per i contatti con le formazioni fasciste[163].
L'attuale panorama storiografico fa quindi ancora ritenere ad alcuni che:
La visita di Napolitano nel 2012
Preceduta da una polemica lettera aperta da parte della ricercatrice storica Alessandra Kersevan fatta propria da alcune sezioni dell'ANPI[164], il 29 maggio 2012 avrebbe dovuto aver luogo la prima visita ufficiale di un Presidente della Repubblica Italiana – Giorgio Napolitano – alle malghe di Topli Uork[165]. Per motivi organizzativi, il Capo dello Stato in seguito non si è recato fino al luogo ove iniziò l'eccidio ma nel vicino comune di Faedis, dove ha scoperto una targa in memoria dei trucidati. Napolitano nel suo discorso ha definito l'eccidio di Porzûs "tra le più pesanti ombre che siano gravate sulla gloriosa epopea della Resistenza"[166]. Nonostante l'invito di Napolitano alla riconciliazione fra le diverse anime della resistenza italiana, i contrasti fra ANPI e APO (Associazione Partigiani Osoppo) non risultano superati: quest'ultima chiede all'ANPI di sottoscrivere il documento di assunzione di responsabilità e di scuse presentato ufficialmente nel 2001 da Giovanni Padoan "Vanni", già commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone[167], mentre la prima chiede che sia l'APO a fare un primo passo[168].
Le malghe di Porzûs come bene di interesse culturale
Il 18 gennaio 2010 la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia emise un decreto che rendeva di "interesse culturale" il "bene denominato Malghe di Porzûs", ma a seguito di una serie di polemiche derivanti dal contenuto della relazione storica allegata, il provvedimento venne revocato dal ministro per i beni culturali pro tempore, Sandro Bondi[169]. Corretta la relazione storica, il decreto fu reiterato a novembre dello stesso anno[170].
Da tempo è stato avviato l'iter procedurale per dichiarare le malghe di Porzûs monumento nazionale[171]. Alcuni dirigenti dell'ANPI si sono opposti all'iniziativa, così come si sono opposti alla proposta di intitolare alcune vie cittadine ai "martiri di Porzûs"[172].
La memoria
L'Associazione Partigiani Osoppo-Friuli – nata nel 1947 e non facente parte dell'ANPI, bensì della Federazione Italiana Volontari della Libertà – fin dai primi tempi della propria fondazione ha mantenuto vivo il ricordo dell'eccidio di Porzûs. Da svariati anni – in occasione dell'anniversario dell'assalto gappista – viene quindi organizzata una cerimonia direttamente alle malghe di Topli Uork, in genere accompagnata da altre manifestazioni di tipo storico/rievocativo o commemorativo, quali mostre, convegni, presentazioni di libri, messe e concerti. Nel periodo estivo viene invece organizzato un incontro al Bosco Romagno, a ricordare gli osovani qui trucidati[173]. Entrambe le manifestazioni sono state variamente contrastate e contestate da vari gruppi della sinistra estrema oltre che – in certi casi – dall'ANPI. In anni più recenti alcune volte le critiche sono state portate utilizzando le teorie complottiste di Alessandra Kersevan[164][174][175]. Solo nel 2009 un rappresentante dell'ANPI, a titolo personale, ha partecipato alla cerimonia alle malghe[176].
Note
Bibliografia
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Voci correlate
- Inquadramento generale
- Reparti
- Persone
- Alfredo Berzanti
- Francesco De Gregori
- Mario Lizzero
- Aldo Moretti
- Giovanni Padoan
- Guido Pasolini
- Mario Toffanin
- Altro
Collegamenti esterni
- Saggi
- Paolo Deotto, Strage di Porzûs. Un'ombra cupa sulla Resistenza, da Storia in Network.
- Interviste
- Porzûs. Così quella strage ha mandato in "crisi" il Pci (e Togliatti). Intervista a Patrick Karlsen da Sussidiario.it.
- Articoli di quotidiani
Gli articoli de La Stampa possono essere letti al seguente indirizzo:
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Porzûs Porzûs Porzûs Porzûs Porzûs
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- ↑ La questione del coinvolgimento del PCI nell'eccidio, vista nel quadro dei suoi rapporti con gli altri partiti del CLN e con la nascente Jugoslavia di Tito, fu uno degli aspetti maggiormente discussi fin dagli anni della Resistenza, tanto che il partito produsse diversi documenti per cercare di spiegare la propria posizione. Parte di tali documenti fu anche esibita nel corso dei processi per l'eccidio negli anni cinquanta, soprattutto per respingere l'accusa di tradimento elevata giudiziariamente contro i gappisti e le strutture direttive del PCI friulano. Si veda a titolo d'esempio Ferdinando Mautino. «Un documento del PCI sulla condotta dei garibaldini», l'Unità, 5 dicembre 1951, p. 5.
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- ↑ Nei giorni immediatamente successivi all'armistizio dell'8 settembre, le strutture direttive dei movimenti di liberazione sloveni e croati promulgarono due distinte dichiarazioni, con le quali proclamarono annesse alla Jugoslavia l'Istria (suddivisa fra Slovenia e Croazia) e la Venezia Giulia (alla Slovenia). Le dichiarazioni furono confermate il 30 novembre 1943 a Jajce dal massimo organo federale, la Presidenza del Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ). Sul punto si veda Egidio Ivetic (a cura di), Istria nel tempo. Manuale di storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Unione Italiana di Fiume, Università Popolare di Trieste, Rovigno 2006, p. 566.
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- ↑ Braccio destro di "Bolla", scampò all'eccidio in quanto assente da Porzûs il 7 febbraio 1945.
- ↑ Su Emilio Grossi si veda Alberto Magnani, «Emilio Grossi a Vercelli. La presa di coscienza di un ufficiale dell'esercito», Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
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- ↑ Il primo a parlare di tale colloquio — collocandolo a Bari — fu Paolo Spriano, che citò in tale occasione anche la presenza di «due altri dirigenti comunisti jugoslavi», il cui nome non fu mai appurato con assoluta certezza, anche se alcune fonti sostengono che uno dei due sarebbe stato Milovan Gilas (cfr. Giampaolo Valdevit, La crisi di Trieste. Una riflessione storiografica, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1995, p. 49). Si veda in proposito Vorlage:Cita. Kravelj afferma che per incontrare Togliatti viaggiò «da Bari a Roma». Roma è il luogo indicato anche da Vorlage:Cita e da Aga Rossi (Vorlage:Cita).
- ↑ La minuta di Kardelj è riportata in svariate fonti, fra le quali Vorlage:Cita.
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- ↑ La questione è riassunta fra gli altri da Giovanni Gozzer, «Porzûs: una Yalta giuliana», Centro Studi della Resistenza (pubblicato originariamente sul Corriere del Ticino, 17 novembre 1997) e da Roberto Roggero, Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, Greco & Greco Editori, 2006, ISBN 9788879804172, pp. 430-431; in questi articoli il nome di Zocchi "Ninci" è riportato erroneamente come "Bocchi". Per una dettagliata ricostruzione v. Vorlage:Cita.
- ↑ a b c Vorlage:Cita
- ↑ Si vedano in estratto alcune relazioni del comandante della Osoppo Francesco De Gregori "Bolla" in Primo Cresta, «Gorizia e la sua lotta di liberazione» in I cattolici isontini nel XX secolo. III. Il goriziano fra guerra e ripresa democratica (1940-1947), Istituto di Storia Sociale e Religiosa, Gorizia 1987, pp. 231-257.
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- ↑ Secondo la relazione del maggiore MacPherson del SOE, il battaglione partigiano sloveno Rezianska annunciò alla popolazione che Trent era stato portato «davanti alla giustizia» delle loro brigate, mentre tre osovani che gli facevano da scorta affermarono che era stato ucciso in uno scontro con i tedeschi. In Vorlage:Cita si ipotizza che Trent potrebbe essere caduto in un tranello tesogli dagli sloveni e consegnato ai tedeschi.
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- ↑ A oggi non sono ancora note le lettere inviate dagli sloveni cui i garibaldini rispondevano. Che si tratti di pressioni per intervenire contro la Osoppo lo si desume quindi dai contenuti delle missive garibaldine.
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- ↑ Giovanni Di Capua, Resistenzialismo versus Resistenza, Rubbettino 2005, ISBN 9788849811971, p. 110.
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- ↑ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2002, p. 195.
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- ↑ Secondo le direttive del Comando generale del Corpo volontari della libertà del Nord Italia, emanate nell'ottobre 1944, ogni forma di collaborazione con i soldati della RSI e con le forze germaniche era da considerare come tradimento da punire con la condanna a morte, ma dalle ricostruzioni del dopoguerra risultò che era sempre stata la Xª MAS a cercare degli accordi con la Osoppo per opporsi alle mire jugoslave sui territori orientali italiani, ottenendone però sempre un rifiuto. Sul tema si veda anche la ricostruzione di tutta la vicenda dalla parte della Decima Mas in Mario Bordogna, Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS, Mursia 1995, ISBN 88-425-1950-2.
- ↑ Si riportano qui le ricostruzioni tratte da Vorlage:Cita, assieme ai resoconti della stampa dell'epoca e all'ampio riassunto contenuto in Vorlage:Cita.
- ↑ Zio dell'omonimo cantautore romano.
- ↑ Tale era definita nei reparti osovani la figura nota come "commissario politico" fra i garibaldini.
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- ↑ Paolo Strazzolini, Udine nella memoria – 1945. Da Porzûs a Bosco Romagno. L'eccidio alle malghe di Topli Uork. I fatti, i luoghi, i personaggi, testo della conferenza tenuta presso la Casa della Contadinanza nel Castello di Udine il 25 gennaio 2008.
- ↑ Emerati testimoniò al processo, rilasciando poi delle interviste negli anni ottanta e novanta, nelle quali raccontò la storia di quel giorno. Cfr. Paola Treppo, «Vent'anni fa un filmato ricco di testimonianze che precorse i tempi», Il Gazzettino, 10 febbraio 2008.
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- ↑ Giovanni Padoan, «La regia dei fatti di Porzûs», da Porzûs: strumentalizzazione e realtà storica, Edizioni della Laguna, 2000.
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- ↑ a b Iurich (o Jurich) non partecipò all'attacco alle malghe di Topli Uork, essendo lo stesso giorno impegnato con un altro gruppo di gappisti nell'assalto alle carceri di Udine, dalle quali furono liberati 73 partigiani. In merito si veda Pierluigi Visintin, «L'assalto alle carceri di Udine: un'azione romanzesca», Patria Indipendente, 10 dicembre 2004, pp. 25-26.
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- ↑ Fernando Bandini, Laura Betti (a cura di), Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano 1977, p. 226}}
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- ↑ Il conteggio esatto in Vorlage:Cita. Il conteggio risulta di 704 anni, 2 mesi e 10 giorni secondo l'articolista de La Stampa che seguì il processo. Si veda Quarantun condanne per la strage di Porzus, in La Stampa, 7 aprile 1952, p. 1.
- ↑ a b Ferdinando Mautino, La sentenza per i fatti di Porzus ha stroncato l'infame accusa di tradimento, in l'Unità, 7 aprile 1952, p. 1.
- ↑ Quarantun condanne per la strage di Porzus, in La Stampa, 7-8 aprile 1952, p. 1.
- ↑ Il compagno Palmiro Togliatti ha inviato al compagno Ostelio Modesti, nelle carceri giudiziarie di Lucca, il seguente telegramma, in l'Unità, 8 aprile 1952, p. 1.
- ↑ La difesa esalta i partigiani di Porzus, in l'Unità, 13 aprile 1954, p. 2.
- ↑ a b Si rifarà il processo per la strage di Porzus?, in La Stampa, 12 agosto 1955, p. 4.
- ↑ Dopo il periodo in Cecoslovacchia, Padoan si spostò in Romania, dove lavorò come redattore di trasmissioni radiofoniche. Alessandra Santoro, Morto Vanni Padoan, chiese perdono per Porzûs, in l'Espresso, 2 gennaio 2008.
- ↑ I garibaldini della "Natisone" assolti dall'accusa di tradimento, in l'Unità, 1º maggio 1954, p. 7.
- ↑ Sul punto si veda Vorlage:Cita.
- ↑ Ferdinando Mautino, La sentenza di Firenze, in l'Unità, 4 maggio 1954, p. 2.
- ↑ Tutto il paragrafo è tratto da Vorlage:Cita.
- ↑ a b Referenzfehler: Ungültiges
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-Tag; kein Text angegeben für Einzelnachweis mit dem Namen bianchi247. - ↑ Si veda il paragrafo "Il processo in Cassazione".
- ↑ Le note sono basate su Vorlage:Cita. In caso opposto, viene citata direttamente la fonte alternativa.
- ↑ Dino Messina, Porzus: si spara ancora, sul film, in Corriere della Sera, 29 agosto 1997, p. 29.
- ↑ Chiesto un nuovo processo per il massacro di Porzus, in La Stampa, 19 giugno 1957, p. 4.
- ↑ Il quadro schematico della sentenza della Cassazione in Vorlage:Cita.
- ↑ Questa era la previsione normativa, ai sensi dell'art. 1 del DPR. Si veda in merito Pietro Pomanti, I provvedimenti di clemenza. Amnistia, indulto e grazia, Giuffrè, Milano 2008, p. 76.
- ↑ Così fanno notare Vorlage:Cita.
- ↑ Toffanin, Pertini lo graziò ma la Procura non voleva, in Corriere della Sera, 20 settembre 1997, p.13.
- ↑ a b Referenzfehler: Ungültiges
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-Tag; kein Text angegeben für Einzelnachweis mit dem Namen deotto. - ↑ Paolo Simoncelli, Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie, in L'Avvenire, 27 maggio 2010.
- ↑ Alfio Caruso, Tutti vivi all'assalto, Longanesi, Milano 2003, p. 358.
- ↑ Francesco De Gregori, biografia dal sito dell'ANPI.
- ↑ a b Gian Antonio Stella, Strage di Porzus: non si pente il fucilatore "rosso" (testo dell'articolo), in Corriere della Sera, 31 gennaio 1992, p. 2.
- ↑ Roberto Morelli, "Io, pensionato delle Foibe, non mi pento", in Corriere della Sera, 30 agosto 1996, p. 15; Danilo De Marco, Nubi sulla Resistenza, in l'Unità due, 12 agosto 1997, p. 3; Massimo Nava, "A Porzus fu giusto sparare: o noi o loro", in Corriere della Sera, 19 agosto 1997, p. 27.
- ↑ Antonio Giulio de Robertis, La frontiera orientale italiana nella diplomazia della II guerra mondiale, Edizione Scientifiche Italiane, Napoli 1981, p. 247.
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- ↑ Per questi due autori, si veda il testo collettaneo Vorlage:Cita.
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- ↑ Vorlage:Cita.
- ↑ a b Roberto Morelli, A Porzus, l'abbraccio che chiude la guerra, in Corriere della Sera, 24 agosto 2001, p. 29.
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-Tag; kein Text angegeben für Einzelnachweis mit dem Namen moretti. - ↑ Ivo Lederer, La Jugoslavia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 140 ss.
- ↑ Documento ufficiale della Commissione storica italo-slovena, 2001, paragrafo 4, Periodo 1945-1956.
- ↑ Il Piccolo, 18 settembre 2005. Il discorso provocò qualche blanda reazione anche in Italia, quale un'interrogazione parlamentare del deputato di Alleanza Nazionale Roberto Menia.
- ↑ Vorlage:Cita. Fra i vari storici e giornalisti italiani che hanno criticato questo saggio, ricordiamo Paolo Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti, in Corriere della Sera, 6 aprile 2010; Roberto Spazzali, Pirjevec: le foibe solo propaganda, in Il Piccolo, 13 ottobre 2009; Raoul Pupo e Giuseppe Parlato, Dalla Slovenia (via Einaudi) un altro falso storico sulle foibe, in Libero, 13 ottobre 2009.
- ↑ Vorlage:Cita.
- ↑ Vorlage:Cita. La confutazione della fonte fu fatta da Patrick Karlsen ed Elena Aga Rossi, che contattarono i responsabili dell'archivio, V.Shepelev e S.Rosenthal. Il virgolettato è tratto direttamente dalla risposta di questi ultimi, citata in Vorlage:Cita.
- ↑ Tutti i virgolettati da Vorlage:Cita.
- ↑ Vorlage:Cita.
- ↑ a b c Alessandra Kersevan, Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra, in AA.VV., Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica, KappaVu, Udine 2008, pp. 115 ss.
- ↑ Gorazd Bajc, Operacija Julijska Krajina. Severovzhodna meja Italije in zavezniške obveščevalne službe, 1943-1945, Univerza na Primorskem – Znanstveno-raziskovalno središče, Zal. Annales, Koper 2006.
- ↑ Luciano Ferraro, Argo 16, tutti assolti: «Non fu un sabotaggio del Mossad», in Corriere della Sera, 17 dicembre 1999, p. 17.
- ↑ Sull'inchiesta di Mastelloni e le ipotesi su Toffanin, Gian Antonio Stella, Porzus. La grande trappola, in Corriere della Sera, 27 agosto 1997, p. 27. Per la pubblicazione dell'articolo citato, nel 2005 la RCS Quotidiani s.p.a., Ferruccio De Bortoli e Gian Antonio Stella sono stati condannati dal tribunale di Milano al pagamento di un risarcimento per danni morali ai congiunti di Mario Lizzero, in quanto il testo contiene espressioni giudicate "offensive della memoria" del defunto commissario politico partigiano. Si veda il dispositivo della sentenza pubblicato sul Corriere della Sera.
- ↑ Un'analisi critica dei principali contributi storiografici in Elena Aga Rossi, L'eccidio di Porzus e la sua memoria in Vorlage:Cita. Il saggio è stato poi ripubblicato col titolo "Porzus" nella storiografia. La Osoppo e il mancato "rovesciamento di fronte", in Critica sociale, 3-4, 2012, pp. 24-25.
- ↑ Vorlage:Cita.
- ↑ Per un riassunto generale di queste accuse si veda Ferdinando Mautino, La "Osoppo" strinse patti con la "X mas", in l'Unità, 6 ottobre 1951, p. 5.
- ↑ L'esplicitazione più ampia ed articolata di questa teoria che fra l'altro vedeva nella DC la diretta prosecuzione del fascismo si può leggere in Davide Lajolo, Le vicende del processo Porzus e la campagna elettorale D.C., in l'Unità, 27 gennaio 1952, p. 3. Per Lajolo, si viveva nel pieno di un "rigurgito fascista", e il processo per l'eccidio di Porzûs non era altro che "un atto d'accusa per dimostrare che il Partito Comunista è un partito di traditori della Patria (...) proprio come urlavano le soldataglie di Salò, quando portavano sulle picche le teste dei partigiani assassinati".
- ↑ Ferdinando Mautino, Terracini smantella l'accusa di tradimento mossa a carico dei partigiani garibaldini, in l'Unità, 28 marzo 1952, p. 5.
- ↑ F.M. (Ferdinando Mautino), Il processo a Lucca per i fatti di Porzus, in l'Unità (edizione piemontese), 27 settembre 1951, p. 3.
- ↑ La celebrazione ufficiale a Roma. Reggio Emilia decorata con la medaglia d'oro, in l'Unità, 25 aprile 1950, p. 1.
- ↑ Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964, pp. 442-443.
- ↑ Giorgio Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Bari, Laterza, 1966, p. 441.
- ↑ l'Unità, 21 marzo 1975, p. 5.
- ↑ Vorlage:Cita.
- ↑ Il virgolettato è tratto da una breve intervista alla storica Elena Aga Rossi, da Dario Fertilio, Malga Porzus, il risveglio della sinistra, in Corriere della Sera, 13 agosto 1997, p. 25.
- ↑ Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1988, p. 209.
- ↑ Pierluigi Pallante, Il PCI e la questione nazionale, Friuli-Venezia Giulia 1941-1945, Udine, Del Bianco, 1980, pp. 236 ss.
- ↑ Esponenti del PCI di Udine ricordano partigiani uccisi dai garibaldini, in l'Unità, 23 maggio 1990, p. 4.
- ↑ Sulle polemiche relative all'eccidio di Porzûs s'innestò in diretta continuità un articolo del senatore comunista ed ex partigiano Otello Montanari dal titolo "Rigore sugli atti di "Eros" e Nizzoli" – ma immediatamente ribattezzato "Chi sa parli" – che uscì su Il resto del Carlino il 29 agosto 1990. L'articolo era dedicato agli omicidi partigiani nel cosiddetto triangolo della morte ed alla cosiddetta "doppiezza" del PCI, e causerà un'enorme polemica ed un profluvio di interventi, oltre alla sostituzione del Montanari dai ruoli pubblici affidatigli dal PCI ed alla sua emarginazione nel partito. Nel solo mese di settembre, sulla stampa nazionale vennero pubblicati 1.321 articoli sul tema. Si veda Glauco Bertani, La lente dei media. Settembre 1990: "operazione verità"? La Repubblica nata dalla Resistenza tra storiografia, politica e mass media, in Francesco Malgeri, Leonardo Paggi, Partiti e organizzazioni di massa, Soveria Mannelli, Rubbettino 2003, pp. 297-350. L'analisi quantitativa sugli articoli di stampa a p. 308.
- ↑ Silvano Goruppi, «La Osoppo una tragedia per tutti», in l'Unità, 25 maggio 1990, p. 4.
- ↑ Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 396 e nota a p. 733.
- ↑ Mario Lizzerò morì a Udine l'11 dicembre 1994.
- ↑ Sul tema Cesare Bermani, Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia, 1943-1976, Odradek 2003.
- ↑ Gian Antonio Stella, Cossiga: cedo al PDS, con amarezza (testo dell'articolo), in Corriere della Sera, 8 febbraio 1992, p. 5.
- ↑ Domenico Pecile, Rabbia dei partigiani bianchi, in Corriere della Sera, 8 febbraio 1992, p. 5.
- ↑ Cossiga a malga Porzus, in la Repubblica, 16 febbraio 1992, p. 7; Giuseppe Longo, Vent'anni fa la visita di Cossiga, in Messaggero Veneto, 10 febbraio 2012.
- ↑ Sul tema si veda Glenda Sluga, The problem of Trieste and the Italo-Yugoslav border: Difference, Identity, and Sovereignity in Twentieth-Century Europe, State University of New York Press, 2002; con maggior intento divulgativo Philip D. Morgan, The fall of Mussolini: Italy, the Italians, and the Second World War, Oxford University Press, 2008. La connessione fra l'eccidio di Porzûs, i massacri delle foibe, l'esodo giuliano-dalmata e la perdita della Venezia Giulia – il tutto inquadrato per lo meno dal punto di vista cronologico – fa oramai parte di una vasta letteratura. A puro titolo di esempio si citano (in ordine alfabetico) Elena Aga Rossi, Il PCI tra identità comunista e interesse nazionale, in Marina Cattaruzza (cur.), La nazione in rosso: socialismo, comunismo e interesse nazionale 1889-1953, Rubbettino 2005; Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2003; Giovanni Sale, Il Novecento fra genocidi, paure e speranze, Jaca Book, Milano 2006.
- ↑ Alberto Crespi, «Pressioni per bloccare Porzus», in l'Unità due, 5 settembre 1997, p. 1.
- ↑ Alberto Crespi, Partigiani da western, in l'Unità, 1º settembre 1997, p. 3.
- ↑ "Porzus? Un falso antisloveno alimentato dal Pds", in Corriere della Sera, 21 agosto 1997, p. 27; Caso "Porzûs". Giacca ricorre agli avvocati, in l'Unità due, 22 agosto 1997, p. 8.
- ↑ Porzus: Violante, grave episodio di irresponsabilità politica, in Adnkronos, 7 febbraio 1998.
- ↑ R.Mor., Trieste, incontro "della pace" Violante-Fini. PRC insorge, in Corriere della Sera, 13 marzo 1998.
- ↑ Luca Zanini, Violante: troppe indulgenze su Tito, in Corriere della Sera, 26 agosto 1996, p. 13.
- ↑ A titolo d'esempio: Giorgio Bocca, Lettera aperta a Luciano Violante, in MicroMega, n. 1, 1998.
- ↑ Paolo Conti, Cerimonia del perdono alla malga Porzus con don Candido e Vanni, in Corriere della Sera, 5 febbraio 2003, p. 33; Andrea Del Vanga, A Porzus, noi comunisti responsabili della strage, in Il Messaggero, 10 febbraio 2003; Enrico Bonerandi, Eccidio di Porzus, le scuse del Comandante Vanni, in la Repubblica, 10 febbraio 2003, p. 26.
- ↑ Marco Puppini, Friuli, divisione Osoppo, in Enzo Collotti, Roberto Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. II, Torino, Einaudi 2001, p. 200. L'omissione è criticata da Giovanni Belardelli, L'eccidio di Porzûs e le colpe del pci, in Corriere della Sera, 6 febbraio 2012.
- ↑ Alberto Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 2003, p. 26.
- ↑ a b Lettera aperta di Alessandra Kersevan al presidente Napolitano su Porzûs, dal sito dell'ANPI di Enna e dal sito dell'ANPI di Mirano.
- ↑ La visita di Napolitano a Porzûs per mettere fine alle polemiche sull'eccidio, in Il Gazzettino, 28 maggio 2012.
- ↑ Napolitano in Friuli: tragedia Porzus non divide più il nostro popolo, comunicato ufficiale della presidenza della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. L'intero discorso è all'interno del sito del Quirinale.
- ↑ Si veda sopra il paragrafo sulla tesi dei mandanti sloveni.
- ↑ Domenico Pecile, Dopo la visita di Napolitano. Appello a vuoto, Faedis resta divisa, in Messaggero Veneto, 31 maggio 2012.
- ↑ Il 9 maggio 2010, durante una conferenza stampa, l'onorevole Carlo Giovanardi contestò la correttezza della relazione storica allegata al decreto, affermando che alcuni dei contenuti della stessa sembravano ripresi da Wikipedia. In merito si veda Dino Messina, Il pasticcio ministeriale sull'eccidio di Porzus, in Corriere della Sera, 27 maggio 2010; Pasticcio storico su Porzûs: Bondi blocca il riconoscimento, in Messaggero Veneto, 27 maggio 2010. Il 25 maggio anche il quotidiano cattolico Avvenire – attraverso un editoriale dello storico Paolo Simoncelli (Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie, 26 maggio 2010), denunciò come erronea la versione dei fatti fornita dal decreto. Secondo Simoncelli la ricostruzione non rese giustizia di quanto storicamente accaduto e successivamente condannato dai tribunali. A questo articolo fecero seguito diversi interventi sui quotidiani nazionali. Per la revoca del provvedimento, si veda Porzûs, il ministero cambia rotta, in Avvenire, 28 maggio 2010.
- ↑ Giovanardi: corretta la relazione storica sugli avvenimenti delle Malghe di Porzus, ANSA, 26 novembre 2010.
- ↑ Antonio Carioti, Le malghe di Porzûs siano dichiarate monumento nazionale, in Corriere della Sera, 4 febbraio 2011, p. 46.
- ↑ È il caso di Giorgio Coianiz, presidente della sezione di San Giorgio di Nogaro (UD) dell'ANPI, che ha inviato una lettera aperta a tutti i consiglieri comunali del suo paese, nonché ai consiglieri della provincia, stigmatizzando quelli che a suo parere appaiono dei tentativi "beceri e populisti" di "riseminare odio". Si veda in merito L'ANPI scrive ai politici: su Porzûs non siete informati, in Messaggero Veneto, 19 agosto 2010.
- ↑ Si veda il sito ufficiale dell'Associazione.
- ↑ Ilaria Purassanta, Napolitano a Porzûs. L'Anpi: «La visita chiuda le polemiche», in Messaggero Veneto, 11 febbraio 2012. In questo articolo si riporta l'opinione di Federico Vincenti, presidente dell'ANPI per la provincia di Udine, che fra l'altro ha dichiarato: "(...) la strage alle malghe è imputabile a Mario Toffanin. La responsabilità è sua e invece hanno cercato di infangare il comandante e il commissario della Garibaldi e peraltro i loro diffamatori sono stati condannati di recente dal tribunale. È ora di finirla con il revisionismo storico che ha colpito e umiliato la nostra Resistenza friulana, una delle più forti in Europa".
- ↑ Foibe e revisionismo storico/politico, dal sito dei COBAS di Pisa.
- ↑ Vorlage:Cita.